A differenza dei lavori di schedatura che riguardano generalmente le collezioni dei musei, catalogare il patrimonio artistico della Cappella Sansevero equivale a confrontarsi con le vicende di opere eccezionalmente ancorate al loro contesto d’origine. Non è dunque possibile occuparsi delle imprese decorative del tempio gentilizio dei Di Sangro senza considerare i loro nessi genetici con lo spazio monumentale di cui sono parte, così come il ruolo e il significato ch’esse assumono nel coerente progetto di rinnovamento che il principe Raimondo intraprese a partire dagli anni quaranta del Settecento.
L’inviolabilità anche materiale di questo ecosistema ha provvidenzialmente impedito che le opere della Cappella fossero coinvolte nell’odierno sistema delle mostre. E se è vero, come avvertiva Francis Haskell (2000), che i cataloghi delle esposizioni crescono a discapito delle monografie scientifiche sugli artisti e sulle raccolte museali, tale circostanza può in parte spiegare la fatica che prima di questa pubblicazione si sarebbe fatta nel reperire finanche una scheda aggiornata del Cristo velato, il marmo più celebre della Cappella oltre che dell’intera scultura meridionale. Del resto, la tradizione storiografica riguardante il mausoleo dei Sansevero, pur così generosa nei risultati e nei metodi, ha spesso privilegiato un taglio saggistico di interesse storico-documentario o interpretativo rispetto alle esigenze della catalogazione scientifica, cui pure avevano provato a rispondere coraggiosamente il volume pionieristico di Marina Causa Picone (1959) e più tardi la monografia di Oderisio de Sangro (1991). Rispettivamente a trenta e a vent’anni fa risalgono poi i cataloghi delle opere di due protagonisti della Cappella Sansevero quali furono Antonio Corradini e Giuseppe Sanmartino, realizzati da Bruno Cogo e da Elio Catello; mentre lavori di tale respiro mancano ancora per artisti come Francesco Queirolo e Francesco Celebrano, non meno decisivi nella storia settecentesca del monumento.
La consapevolezza della necessità di una schedatura scientifica del patrimonio artistico del Museo Cappella Sansevero e il desiderio della sua massima accessibilità sono dunque all’origine del progetto di questo catalogo digitale, nato nel 2023 su iniziativa della presidente Maria Alessandra Masucci, d’intesa con la quale abbiamo ritenuto necessario non soltanto identificare studiosi cui affidare la redazione delle schede, ma anche e soprattutto provare a costituire un vero e proprio gruppo di ricerca in grado di collaborare in modo sinergico condividendo in itinere metodi, idee e materiali. Ho quindi avuto l’opportunità di coordinare il lavoro di ricercatrici e ricercatori da tempo impegnati nella ricostruzione della cultura del barocco meridionale: Luigi Coiro, Sabrina Iorio, Eleonora Loiodice, Augusto Russo e Mariano Saggiomo, che ringrazio per il generoso impegno profuso.
Le trentuno schede-saggio del catalogo, corredate da immagini ad altissima risoluzione realizzate per l’occasione da Haltadefinizione s.r.l., non rappresentano soltanto una sintesi – indispensabile, come detto – della lunga e feconda vicenda storiografica della Cappella Sansevero. Le indagini condotte in occasione della catalogazione hanno portato a significative acquisizioni. L’identificazione di nuove fonti documentarie nell’Archivio Storico Diocesano di Napoli ha permesso di fare luce sulla fondazione della chiesa di Santa Maria della Pietà e sulla sua topografia artistica prima della renovatio di Raimondo. La capacità di ritessere il giusto filo tra le opere e i documenti ha consentito pure di restituire a Michelangelo Naccherino la tomba di Paolo di Sangro secondo principe di Sansevero e la statua dell’Amor divino che in origine la decorava. La serie delle incisioni ottocentesche di Franz Wenzel ha poi favorito la comprensione dell’assetto di alcuni dei monumenti funebri della Cappella prima del crollo che interessò la controfacciata nel 1889.
Riguardo alla fase decorativa settecentesca, tra le altre cose, ancora poco valorizzate erano le pagine del diario che lo scultore lombardo Donato Andrea Fantoni dedicò ai monumenti più celebri del mausoleo disangriano in occasione del suo viaggio a Napoli nel 1769. E sempre più perspicuo, infine, è apparso il rilievo che il barocco romano poté avere nel programma iconografico di Raimondo, allievo dei gesuiti nell’Urbe dal 1720 al 1730: dal Compianto di Celebrano al Cristo velato di Sanmartino, dal Disinganno di Queirolo al pavimento labirintico, dalla volta dipinta da Francesco Maria Russo agli elementi decorativi che impreziosiscono le tombe commissionate dal Principe.
La realizzazione di questo lavoro non sarebbe stata possibile senza la fiducia e il generoso incoraggiamento della presidente Masucci e la costante collaborazione dello staff del Museo Cappella Sansevero e di Mariagrazia de Gaetano in particolare. Per l’aiuto in vario modo offertoci siamo inoltre grati a Andrea Bacchi, Francesco Caglioti, Fabrizio Masucci e Riccardo Naldi.
Gianluca Forgione