Monumento funerario di Vincenzo di Sangro, ottavo principe di Sansevero, Autore ignoto: Monumento; Carlo Amalfi: Ritratto pittorico in tondo

Cat. 9. Monumento funerario di Vincenzo di Sangro, ottavo principe di Sansevero

Artista Autore ignoto: ideazione ed esecuzione del monumento; Carlo Amalfi: ritratto pittorico
Titolo dell’opera Monumento funerario di Vincenzo di Sangro, ottavo principe di Sansevero
Tecnica rilievo, olio
Materia marmi vari, rame
Datazione ante 1771
Dimensioni 240 (a) x 230 (l) x 50 (p) cm
Collocazione Cappella Sansevero, navata

Autore della scheda: Augusto Russo

Se la tomba di Raimondo di Sangro rappresenta, dato il dedicatario, il culmine del programma memoriale del contesto gentilizio, quella di suo figlio Vincenzo, ottavo principe di Sansevero, ne costituisce l’effettivo epilogo: i successori sarebbero stati sepolti nell’ambiente sotterraneo, avendo il sacello ormai esaurito gli spazi, come spiegato da Raimondo stesso sin dal 1753 nelle lettere a due suoi interlocutori (di Sangro 2018, pp. 32-33, 72; cfr. anche Breve nota 1766, p. 12).

Il monumento di Vincenzo è posto sull’ingresso laterale della Cappella, all’ombra del relativo arco, dirimpetto a quello di Raimondo (cfr. la scheda 24). All’esterno si trova l’iscrizione del 1767: il momento, tra l’altro, di «una sorta di cambio della guardia che il padre compie nei confronti del figlio» (Colapietra 1986, p. 146). All’interno, la cercata quanto ovvia corrispondenza delle due tombe riguarda anche gli ovali con i ritratti, pure non del tutto uniformi per registro stilistico: si tratta comunque di sepolcri diversi per forma e ambizione, e anche concettualmente. La specularità, d’altronde, caratterizza non meno il rapporto tra i monumenti delle consorti di Raimondo e di Vincenzo (rispettivamente Carlotta Gaetani e Gaetana Mirelli): i quali monumenti, infatti, accosti come sono ai pilastri accanto agli spazi che ospitano le tombe dei mariti, pure si trovano affrontati (cfr. le schede 25 e 8). In ogni modo, nell’opulenza scultorea e simbolica del sacello di famiglia, ovvero nel clamore di depositi, statue e iscrizioni, oggi il monumento di Vincenzo rischia di non essere, comprensibilmente, sùbito al centro dell’attenzione del visitatore e dello studioso.

Nato nel 1743, Vincenzo era il primogenito di Raimondo e in quanto tale, alla morte del genitore, nel 1771, ne divenne erede universale per via testamentaria: gli andarono, come suol dirsi, onori e oneri. Già nel 1764 Raimondo aveva passato al figlio la responsabilità nell’amministrazione del patrimonio e nell’estinzione dei debiti, e poco dopo, nel 1765, aveva stipulato in suo favore, e in vista delle sue nozze, un atto di cessione delle rendite dei propri beni. La situazione debitoria della famiglia fu quindi di molto risollevata dalla dote di donna Gaetana Mirelli dei principi di Teora (cfr. Chartulae desangriane 2006, passim). Il nuovo Principe di Sansevero morì poi, quarantasettenne, nel 1790.

La collocazione sulla porta comporta – ipso facto, e più o meno consapevolmente nelle intenzioni della committenza – che in una visione d’assieme il monumento di Vincenzo possa caricarsi di significati connessi a tale elemento e alla relativa funzione (qui pure eminentemente pratica) che ricorrono in vari esiti nella storia della scultura funeraria, dall’antichità a Bernini (1598-1680) e a Canova (1757-1822). Non ci sarebbe bisogno di ulteriori delucidazioni; basti appena pensare come la porta alluda più o meno idealmente alla presenza della camera sepolcrale, indichi il passaggio tra la vita terrena e quella ultraterrena, oppure faccia da diaframma tra due dimensioni diverse: nella fattispecie, chi la varca in entrata accede al mondo magico e artificioso della Cappella, chi ne esce torna alla vita vera di un vicolo del centro antico di Napoli. Tale collocazione, ossia tale soluzione a scopo funerario e celebrativo, aveva avuto almeno un precedente locale di spicco nei monumenti speculari, ritratti compresi, di Giacomo e Giovan Domenico Milano, ingegnosamente affrescati dal romano Giacomo del Po nella sacrestia di San Domenico Maggiore (1712: Rizzo 2001, pp. 236-237, doc. 229), dove l’esito illusionistico è spinto al massimo, con la finzione di grandi nicchie intorno alle porte.

La memoria di Vincenzo è concepita come un fatto ancor in fondo d’eredità berniniana, presupponendo un processo dinamico e coinvolgente, teatrale, nella percezione del riguardante: più che essere solennizzato, è narrato (e insieme eternato) il momento dello scoprimento. Ai lati due puttini sospesi hanno appena alzato la coltre e la sostengono aperta, e l’effetto plastico-illusionistico che ne consegue è enfatizzato nel credibile gioco di pieghe sotto l’urna, i cui piedi leonini frattanto bloccano il panno; nel mezzo altri tre puttini, in pose differenziate, chi seduto e chi eretto, chi quasi nascosto, scortano e mostrano l’effigie del nobiluomo, ovvero sono impegnati negli ultimi accorgimenti per la sistemazione del medaglione.

Non c’è certezza sull’autore del monumento. Nel 1760, dopo la rottura con Raimondo, Francesco Queirolo doveva consegnargli, insieme a vari modelli in cera e in creta, «il modello della porta picciola col deposito, che vi va sopra, anche fatto in creta» (secondo le carte processuali: Chartulae desangriane 2006, p. 81): forse quest’ultimo spettava proprio a Queirolo (1704-1762), oppure è ipotizzabile che si tratti di uno dei «trentasei modelli originali di creta cotta» approntati da Antonio Corradini per la decorazione della Cappella e lasciati dopo la sua morte nel 1752 (Origlia Paolino 1754, p. 365). Rimarrebbe misterioso, comunque, il nome di chi tradusse l’opera nella sua versione definitiva; si è pensato, senza particolari distinzioni, a uno tra gli artisti in genere impiegati da Raimondo: Francesco Maria Russo, Francesco Celebrano (1729-1814), Paolo Persico (cfr. de Sangro 1991, pp. 178-181, n. 12).

Qualche considerazione d’ordine stilistico, in base a confronti interni alla Cappella, può essere tuttavia qui proposta a fini attributivi. I putti della tomba in esame somigliano per tipo e modellato a quelli presenti in altri gruppi scultorei che spettano a Celebrano o che comunque lo videro coinvolto: i due putti a sinistra del ritratto di Vincenzo sono quasi sovrapponibili a quelli, similmente atteggiati rispetto al relativo medaglione, nello Zelo della Religione, opera documentata di Fortunato Onelli sotto il controllo di Celebrano, che probabilmente contribuì a correggerla; l’altro putto a destra si può paragonare senza sforzi a quello pure in piedi e ancheggiante nel Dominio di sé stessi, opera sicura di Celebrano (cfr. le schede 10 e 22). Ciò sembrerebbe sufficiente per una ipotesi di assegnazione a Celebrano, appunto, o al più modesto Onelli. I due gruppi marmorei richiamati sono entrambi del 1767: una cronologia apparentemente non disdicevole per il sepolcro esaminato. D’altro canto, per la data di realizzazione occorre tenere in considerazione una polizza di banco, estinta all’inizio del 1768, di poco più di 126 ducati al piperniere Gennaro Barba a saldo del prezzo «dell’urna di piperno da esso formata alla porta piccola della chiesa gentilizia del Principe di San Severo» (Nappi 1975, pp. 152-153, doc. 179; cfr. de Sangro 1991, p. 181).

Il monumento è poi descritto nell’inventario dei beni dell’eredità di Raimondo redatto nel 1771 (cfr. Attanasio 2011, pp. 150-151; ma la valutazione del passo è complessivamente inficiata dal fatto che il documento risulta lì mutilo di una carta). Tale descrizione comprende l’apparato di superfici attorno alla porta: il che in qualche modo pure è spia di una percezione unitaria dell’assetto parietale e dei suoi elementi. Si legge in particolare che «sopra detta porta vi è un’urna di rosso antico, commesso, e fatto a modo di sguscio col panno di avanti, e anche del medesimo al fondo di avanti, e commesso di alabastro colorito a color di amatista» (Inventario 1771, c. 122r; Attanasio 2011, pp. 150-151).

Una significativa descrizione compare immediatamente dopo nella guida del Sarnelli aggiornata al 1772: «sopra della porta [laterale] vi è un mausoleo di alabastro orientale contornato di rosso antico, e fregiato di metallo indorato, sopra del quale vi è il ritratto ad oglio sopra rame dell’odierno Principe di Sansevero don Vincenzo di Sangro dipinto da Carlo Amalfi» (Sarnelli 1772, p. 132; cfr. Sigismondo 1788, p. 35). Si è ipotizzato che alla scomparsa di Raimondo il figlio commissionasse il ritratto proprio e quello del padre (Mostra 1954, pp. 41-42, n. 52), il che non ha trovato conferme; né sembra possibile che il sepolcro di quest’ultimo, probabilmente innalzato nel 1759 o poco dopo, rimanesse sguarnito della sua immagine per un tempo così lungo (cfr. Aiello 1989, pp. 86-89). Si è altresì scritto che Raimondo sin dapprincipio aveva pensato di riservare la tomba in questione al primogenito Vincenzo, «con la riserva mentale però di farne rimuovere il ritratto se costui […] fosse rimasto scapolo o improle»; dubbi e cautele poi caduti col matrimonio del 1765 (de Sangro 1991, p. 180).

Da tempo è assodato, per più vie, che il personaggio effigiato è, come già ampiamente detto, Vincenzo di Sangro (Colapietra 1986, pp. 144, 152, nota 84; Aiello 1989, pp. 86-89; de Sangro 1991, pp. 178-181). Eppure, alcuni in passato credettero d’identificarvi lo stesso Raimondo, giovane, oppure tal Ferdinando di Sangro (Napoli Signorelli 1811, p. 249; Mostra 1954, pp. 41-42, n. 52), senza plausibili ragioni. In una litografia ottocentesca di Franz Wenzel, tratta dal dipinto raffigurante Vincenzo, l’effigiato è indicato come Raimondo (Colonna di Stigliano 1895, p. 54). L’assenza dell’iscrizione dedicatoria in questo deposito deve aver alimentato la confusione, e il fatto che nessuno si sia poi curato di colmare la lacuna fa capire quanto fossero ormai lontane, verso la fine del Settecento, la cura e le risorse profuse da Raimondo in precedenza.

Il ritratto a mezza figura del giovane Vincenzo, al pari di quello di Raimondo, fu dipinto al vero, ed è anch’esso pacificamente assegnato a Carlo Amalfi nella periegetica napoletana di secondo Settecento. Questo rame, che a differenza dell’altro si è ben conservato, venne esposto alla rassegna sul ritratto storico napoletano nel 1954, occasione per un primo bilancio su Amalfi ritrattista da parte di Ferdinando Bologna (Mostra 1954, pp. 41-42, n. 52): se allora il tentativo accreditatogli di emulare Traversi sembra meglio riguardare l’immagine di Raimondo nel relativo monumento, non meno favorevole era il giudizio sul ritratto di Vincenzo, che a dire dello studioso, «nonostante la minor prontezza, non scapiterebbe al confronto dell’autoritratto del Lépicié». Si è poi scritto che nell’ovale in esame Amalfi realizzò «un ritratto d’impronta francesizzante, elegante ed incipriato, alla maniera di un Liani o di un Delle Piane» (Picone 1959, pp. 81-82). I paragoni con Nicolas-Bernard Lépicié, che fu allievo di Charles-André van Loo e membro dell’Académie royale de peinture et de sculpture, e con Francesco Liani e Giovanni Maria delle Piane, ritrattisti non locali, e in voga nell’epoca e nella committenza borbonica, indicano un quadro di riferimenti à la page. D’altra parte, le qualità dei ritratti Sansevero e la loro spettanza ad Amalfi rappresentano un punto fermo anche per recenti acquisizioni al catalogo del pittore nel genere (come la serie Serra di Cassano: Porzio 2015), il settore giustamente più apprezzato della sua produzione.

Occorre infine ricordare che nel 1760 è documentato un ritratto in miniatura dell’allora duca di Torremaggiore, cioè del giovane Vincenzo, fatto da Alessandro Guglielmi (Nappi 2010, p. 85, doc. 272).

Bibliografia essenziale sull’opera

Inventario de’ beni rimasti nell’eredità del fu eccellentissimo don Raimondo di Sangro principe di Sansevero, Napoli, notaio Francesco de Maggio, 1771, copia del documento disponibile presso l’Archivio Storico del Pio Monte della Misericordia di Napoli, fondo d’Aquino di Caramanico, segnatura provvisoria A.162, c. 122r.

Sarnelli Pompeo, Nuova guida de’ forestieri…, Napoli, a spese di Saverio Rossi, 1772, p. 132.

Sigismondo Giuseppe, Descrizione della città di Napoli e suoi borghi, II, [Napoli,] presso i fratelli Terres, 1788, p. 35.

Mostra del ritratto storico napoletano, catalogo della mostra a cura di Gino Doria e Ferdinando Bologna (Napoli, Palazzo Reale, ottobre – novembre 1954), Napoli 1954, pp. 41-42, n. 52.

Picone Marina, La Cappella Sansevero, Napoli 1959, pp. 81-82.

Nappi Eduardo, La famiglia, il palazzo e la cappella dei principi di Sansevero. Dai documenti dell’Archivio Storico del Banco di Napoli, in «Revue Internationale d’Histoire de la Banque», 1975, n. 11, pp. 100-161, in particolare pp. 152-153, doc. 179.

Colapietra Raffaele, Raimondo di Sangro e il Templum sepulcrale della Cappella Sansevero (II), in «Napoli nobilissima», s. III, XXV, 1986, pp. 142-154, in particolare pp. 144-146, 152 nota 84.

Aiello Immacolata, Carlo Amalfi, pittore del ’700, Sorrento 1989, pp. 86-89.

de Sangro Oderisio, Raimondo de Sangro e la Cappella Sansevero, Roma 1991, pp. 178-181, n. 12.

Attanasio Sergio, In casa del principe di Sansevero. Architettura, invenzioni, inventari, Napoli 2011, pp. 150-151.

Porzio Giuseppe, Carlo Amalfi per i Serra di Cassano. Un contributo alla ritrattistica napoletana del Settecento, catalogo della mostra (Firenze, Palazzo Corsini, Biennale Internazionale dell’Antiquariato, 26 settembre – 4 ottobre 2015), Roma, Galleria Carlo Virgilio & C., 2015.

Bibliografia di confronto

Origlia Paolino Giangiuseppe, Istoria dello Studio di Napoli…, II, Napoli, Giovanni di Simone, 1754, p. 365.

Breve nota di quel che si vede in casa del Principe di Sansevero don Raimondo di Sangro nella città di Napoli, [Napoli] 1766, p. 12.

Napoli Signorelli Pietro, Vicende della coltura nelle Due Sicilie…, VII, Napoli 1811, p. 249.

Colonna di Stigliano Fabio, La Cappella Sansevero e D. Raimondo di Sangro, in «Napoli nobilissima», IV, 1895, 4, pp. 52-58, in particolare p. 54.

Rizzo Vincenzo, Lorenzo e Domenico Antonio Vaccaro. Apoteosi di un binomio, Napoli 2001, pp. 236-237, doc. 229.

Chartulae desangriane. Il Principe committente, catalogo della mostra a cura Bruno Crimaldi (Napoli, Museo Cappella Sansevero, 28 marzo 2006), Napoli 2006.

Nappi Eduardo, Dai numeri la verità. Nuovi documenti sulla famiglia, i palazzi e la Cappella dei Sansevero, Napoli 2010, p. 85, doc. 272.

Porzio Giuseppe, Carlo Amalfi per i Serra di Cassano. Un contributo alla ritrattistica napoletana del Settecento, catalogo della mostra (Firenze, Palazzo Corsini, Biennale Internazionale dell’Antiquariato, 26 settembre – 4 ottobre 2015), Roma, Galleria Carlo Virgilio & C., 2015.

di Sangro Raimondo, La materia del fuoco. Lettere a Giraldi e Nollet, Dissertation, introduzione, note e appendice a cura di Leen Spruit, Napoli 2018, pp. 32-33, 72.

Monumento funerario di Vincenzo di Sangro, ottavo principe di Sansevero, Autore ignoto: Monumento; Carlo Amalfi: Ritratto pittorico in tondo