Soavità del giogo coniugale – Monumento funerario di Gaetana Mirelli, moglie di Vincenzo di Sangro, ottavo principe di Sansevero, Paolo Persico

Cat. 8. Soavità del giogo coniugale – Monumento funerario di Gaetana Mirelli

Artista Paolo Persico
Titolo dell’opera Soavità del giogo coniugale – Monumento funerario di Gaetana Mirelli, moglie di Vincenzo di Sangro, ottavo principe di Sansevero
Tecnica rilievo
Materia marmo
Datazione firmato e datato 1768
Dimensioni 500 (a) x 150 (l) x 65 (p) cm
Collocazione Cappella Sansevero, navata

Autore della scheda: Mariano Saggiomo

Coinvolto nel cantiere della Cappella Sansevero almeno dal 1752, come si ricava, secondo la Picone (1959, p. 51), dagli atti della controversia tra Francesco Queirolo (1704-1762) e Raimondo (per i quali cfr. ivi, pp. 34-39; Cioffi 1994, pp. 42-48; e specialmente Bruno Crimaldi, in Chartulae desangriane 2006, pp. 65-97), Paolo Persico è l’autore documentato del monumento di Gaetana Mirelli, nuora del principe Raimondo in quanto moglie di suo figlio Vincenzo. È probabile che all’opera, tradizionalmente nota come Soavità del giogo coniugale, vadano collegati il «puttino e medaglia rappresentanti l’Amore della Virtù» già abbozzati dal Persico in «un modello di stucco» alla data del 28 luglio 1766 (Forgione 2022, pp. 64-66, doc. 5), lavoro per il quale lo scultore aveva ricevuto dei contanti e – circostanza singolare – «una statua antica di marmo, circa palmi sette, rappresentante una Donna che appoggia la faccia in una delle sue mani in atto di mestizia, che stava prima in detta sua chiesa, della quale non ne poteva esso Principe far uso» (ibidem). È verosimilmente ancora lo stesso pezzo ‘antico’ ad essere chiamato in causa il 10 marzo 1767 in occasione della stipula del contratto tra Raimondo e il Persico per la realizzazione della «Benevolenza matrimoniale» (sempre la Soavità), opera da ultimare entro la fine del settembre del medesimo anno. In cambio lo scultore avrebbe ricevuto centosessanta ducati e «la statua che presentemente sta collocata sul medesimo piedistallo dove questa nuova da scolpirsi dovrà collocarsi, di maniera che, unico actu, si debba calare quella già fatta e collocarsi questa facienda» (ivi, pp. 66-69, doc. 7). Che l’antichità di questo marmo vada riferita alla fase seicentesca della Cappella (ivi, p. 28) è ora confermato dall’identificazione del pezzo con la scultura allegorica, perduta, che Michelangelo Naccherino (1550-1622) progettò di collocare alla destra della statua del secondo principe di Sansevero, Paolo di Sangro, nel contesto di un primo allestimento della tomba, come si evince da un disegno custodito nella collezione del Cooper-Hewitt National Design Museum di New York (cfr. la scheda 19). Non sono del tutto chiare, però, le ragioni che impedirono al Principe di riutilizzare la Donna mesta, cioè se si trattasse esclusivamente di un problema di proporzioni, d’iconografia o anche di gusto.

Tornando per un attimo alla fase progettuale dell’opera, è da notarsi che negli atti citati all’inizio di questa scheda, e più nello specifico nella lista dei bozzetti che il Principe richiedeva indietro al Queirolo, compare «il modello in cera del deposito dell’Amore delle Virtù». Non è chiaro se si tratti di un bozzetto autografo del Queirolo, o se sia una ‘cosa’ di Antonio Corradini (1688-1752) finita al genovese e quindi giunta al Persico, che verosimilmente ne tenne conto per compiere la sua versione (per la questione dei bozzetti si vedano soprattutto Picone 1959, p. 37; Cioffi 1994, pp. 11-12; Cogo 1996, pp. 325-330, n. 51); è invece da escludersi il collegamento, suggerito dalla Cioffi (1994, p. 44), tra quest’Amore delle Virtù e l’Amor divino qui in Cappella, ora da riferire a Michelangelo Naccherino (1550-1622), che l’aveva realizzato sempre per la tomba del secondo principe di Sansevero tra il 1609 e il 1615 (cfr. la scheda 18).

Mettendo da parte le congetture, sappiamo che i lavori per la Soavità si trascinarono oltre il settembre del 1767, per «non essersi dal detto principe convenuto et incontrato un pezzo di marmo bianco di quella qualità e perfezione che dovevasi e si conveniva per la struttura [e] scultura d’essa statua con il suo puttino accanto» (Nappi 2010, p. 138, doc. 448). Un nuovo termine fu fissato allora al marzo del 1768 (ivi, p. 139, doc. 448), ma già il 9 gennaio l’opera risultava «costrutta e scolpita e terminata di tutto punto, situata e posta nel suo destinato luogo» (ivi, p. 139, doc. 449). In realtà rimanevano da ultimare il ritratto della donna nel tondo posto alla sommità della piramide e l’epigrafe (Inventario 1771, c. 124v; cfr. Attanasio 2011, p. 151), la cui assenza rendeva difficile il riconoscimento del soggetto: difatti ancora un secolo dopo Gennaro Aspreno Galante (1872, p. 160) lamentava che «mancando l’epigrafe alla base, non sappiamo a qual matrona si riferisca».

Per il resto, se la firma dell’autore ha evitato che i periegeti avanzassero attribuzioni fuorvianti, è almeno da segnalare che l’attento estensore dell’inventario del 1771 (c. 125r; cfr. Attanasio 2011, p. 151) riferiva erroneamente la statua a Celebrano: si tratta di una svista, o forse, mancando ancora delle parti – l’epigrafe non fu mai compiuta, mentre il tondo resta tuttora abbozzato –, la firma fu apposta poco oltre, e comunque entro il 1772, quando la nuova edizione della Guida di Pompeo Sarnelli (p. 132) puntava con decisione su Persico. A quel punto, tuttavia, la statua era già stata bocciata da Raimondo, che infatti nel proprio testamento la elencava tra i pezzi dei quali si poteva prevedere la sostituzione (Testamento 1770 c. 46r; Chartulae desangriane 2006, p. 107). Non è improbabile che quella scelta si dovesse alla scarsa qualità del lavoro, ben evidenziata più tardi dal giudizio tranciante della Picone (1959, p. 82): «certamente il punto più basso cui potesse giungere il decorativismo settecentesco a Napoli. Infatti, la desunzione dalle altre sculture del Queirolo risulta palese […], ma il Persico tenta anche tipici effetti corradiniani […] con povera vena ecclettica, nella quale si fa convenzionale la purezza dei tratti delle figure muliebri del Queirolo ed accademizzante l’impostazione d’insieme, ormai libera da ogni impegno formale».

Anche in questo caso il soggetto matura debiti nei confronti dell’Iconologia di Cesare Ripa, testo edito più volte a partire dalla fine del Cinquecento e del quale esisteva un’edizione settecentesca – la più ambiziosa sin allora – finanziata da Raimondo e perciò a lui dedicata. In Ripa (1764, pp. 228-233) la «Benevolenza ed unione matrimoniale» prendono le sembianze di una donna dal capo coronato con foglie di vite e ulivo, seguendo una simbologia che rimanda appunto all’unione tra uomo e donna. Tra le mani dell’angioletto ai piedi della statua va riconosciuto perciò un alcione (Panfili 2015), pure chiamato in causa da Ripa come emblema di amore coniugale (1764, pp. 229-231), e non un pellicano, come dichiarano invece diverse guide ottocentesche (Pistolesi 1845, p. 223; Giovan Battista Chiarini, in Celano 1858, p. 450; Galante 1872, p. 160).

Bibliografia essenziale sull’opera

Testamento di Raimondo di Sangro, Napoli, notaio Francesco de Maggio, 1770, copia del documento disponibile presso l’Archivio Storico del Pio Monte della Misericordia di Napoli, fondo d’Aquino di Caramanico, segnatura provvisoria A.160, c. 46r.

Inventario de’ beni rimasti nell’eredità del fu eccellentissimo don Raimondo di Sangro principe di Sansevero, Napoli, notaio Francesco de Maggio, 1771, copia del documento disponibile presso l’Archivio Storico del Pio Monte della Misericordia di Napoli, fondo d’Aquino di Caramanico, segnatura provvisoria A.162, cc. 124r-125v.

Sarnelli Pompeo, Nuova guida de’ forestieri…, Napoli, Saverio Rossi, 1772, p. 132.

Pistolesi Erasmo, Guida metodica di Napoli e suoi contorni…, Napoli 1845, p. 223.

Celano Carlo, Notizie del bello, dell’antico e del curioso della città di Napoli… Con aggiunzioni de’ più notabili miglioramenti posteriori fino al presente, estratti dalla storia de’ monumenti e dalle memorie di eruditi scrittori napolitani, per cura del cavalier Giovanni Battista Chiarini, III, Napoli 1858, p. 450.

Galante Gennaro Aspreno, Guida sacra della città di Napoli, Napoli 1872, p. 160.

Picone Marina, La Cappella Sansevero, Napoli 1959, p. 82.

de Sangro Oderisio, Raimondo de Sangro e la Cappella Sansevero, Roma 1991, pp. 173, 175, n. 10.

Nappi Eduardo, Dai numeri la verità. Nuovi documenti sulla famiglia, i palazzi e la Cappella dei Sansevero, Napoli 2010, pp. 138-139, doc. 448, e pp. 139-140, doc. 449.

Attanasio Sergio, In casa del principe di Sansevero. Architettura, invenzioni, inventari, Napoli 2011, p. 151.

Panfili Veronica, L’iconologia nelle statue della Cappella Sansevero a Napoli, in «BTA – Bollettino Telematico dell’Arte», 2015, n. 789, solo in rete: www.bta.it.

Napoli, la Cappella Sansevero e il Cristo velato. Naples, Sansevero Chapel and the Veiled Christ, testi di Marco Bussagli, fotografie di Carlo Vannini, Bologna 2019, pp. 28, 54-55, 59-61, 86-89.

Forgione Gianluca, I simulacri delle cose. La Cappella Sansevero e il barocco romano, Torino 2022, pp. 28, 64-66, doc. 5, e pp. 66-69, doc. 7.

Bibliografia di confronto

Iconologia del cavaliere Cesare Ripa perugino, notabilmente accresciuta d’immagini, di annotazioni e di fatti dall’abate Cesare Orlandi, patrizio di Città della Pieve accademico augusto. A Sua Eccellenza don Raimondo di Sangro…, I-V, Perugia, Piergiovanni Costantini, 1764-1767, I, 1764, pp. 228-233.

Picone Marina, La Cappella Sansevero, Napoli 1959, pp. 34-39, 51.

Cioffi Rosanna, La Cappella Sansevero. Arte barocca e ideologia massonica, prima edizione: Salerno 1987; edizione citata: Salerno 1994, pp. 11-12, 42-48.

Soavità del giogo coniugale – Monumento funerario di Gaetana Mirelli, moglie di Vincenzo di Sangro, ottavo principe di Sansevero, Paolo Persico