Santa Rosalia, Francesco Maria Queirolo
Sant’Oderisio, Francesco Maria Queirolo
of

Cat. 7. Santa Rosalia; Sant’Oderisio

Artista Francesco Maria Queirolo (Genova, 1704 – Napoli, 1762)
Titolo dell’opera Sant’Oderisio; Santa Rosalia
Tecnica rilievo
Materia marmo
Datazione 1755-1756 circa
Dimensioni 397 (a) x 300 (l) x 75 (p) cm; 435 (a) x 300 (l) x 122 (p) cm
Collocazione Cappella Sansevero, navata

Autore della scheda: Luigi Coiro

Il 2 febbraio del 1780, durante il suo primo soggiorno a Napoli, Antonio Canova (1757-1822) ebbe modo di visitare la «capela della casa di San Severino, […] ripiena di statue, e depositi di marmo», tra i quali l’ancor giovane scultore apprezzò particolarmente «la statua velata fatta dal Coradini» e «un Cristo di figura naturale, posto sopra un lenzuolo, e coperto da un vello […], opera di Giuseppe Sanmartini ora vivente» (cfr. le schede 6 e 5); tuttavia, le due statue che gli parvero più meritevoli «furono una Santa Rosa in gienocchioni e il Santo nella capella di facciata» (Canova [1779-1780] 1959, pp. 76-77; cfr. Cioffi 1994, pp. 60-61). Canova si riferiva, evidentemente, alla Cappella Sansevero e ai Santi Rosalia e Oderisio, che già Carlo Giuseppe Ratti enumerava tra le statue eseguite da Francesco Queirolo «al servizio del Principe di San Severo», confondendo però Oderisio con «Turibbio, vescovo asturicense» (Ratti 1769, p. 308, testo a stampa in cui è emendato, ma non a sufficienza, il «san Torribbio, vescovo di Lima» del manoscritto: Ratti [1762, c. 177v ] 1997, p. 215; cfr. Labò 1933, p. 504; Picone 1959, p. 95).

La magistrale esegesi stilistica delle due opere offerta da Marina Picone, specialmente della Santa Rosalia, «che nella sua visione trascendente resta realizzazione più colta» rispetto al Sant’Oderisio, meriterebbe di essere riportata in toto poiché rivaleggia, in perspicuità e ricercatezza, con le opere stesse. Per la studiosa la Santa è senza dubbio un manifesto della scultura del Queirolo, che qui esibisce «tutta la sua predilezione per una forma preziosa, elegante, spinta a levigatezze alabastrine», e addirittura pare ritornare a «cadenze decorative» di stampo manieristico, in sintonia più con le «raffinate eleganze formali di Pietro Bernini» che col «convulso mondo pittoricizzante di Gian Lorenzo» (ivi, p. 96). In modo analogo sono trattate le pieghe del manto del Sant’Oderisio, nel quale però «si nota un maggiore pittoricismo, un fare più largo» e, sia nel «percettibile risentimento naturalistico» che «nel tipo fisico del Santo […], un adeguamento alla tradizione locale, ai Santi del Fanzaga e di D.A. Vaccaro». Ad accomunare, infine, le due sculture, la constatazione che l’artista, soprattutto nella Santa Rosalia, probabilmente più «libero dai complicati intrecci psicologici e dalle bizzarre ‘invenzioni’ che Raimondo imponeva, trovò modo di realizzare la sua immagine con la maggiore e più personale castità di accenti» (ivi, pp. 84, 96).

Giangiuseppe Origlia Paolino (1754, p. 365) racconta che Raimondo di Sangro aveva pensato di «formarvi di vantaggio […] dell’altre cappelle altresì i sepolcri con un ben conveniente disegno di alcuni Santi della stessa sua Casa, i quali chiusi n’avessero le venerabili reliquie, e servito insieme di base alle Statue per anche al naturale di quelli». Pare quindi di intendere che nel 1754 i due monumenti, pressoché identici per «costruzione, marmi ed elogio» (Sarnelli 1772, p. 132; cfr. Inventario 1771, c. 79r, e Attanasio 2011, p. 152), fossero già allestiti però privi di statue, probabilmente completate e installate entro il 1756, data apposta all’epigrafe del Sant’Oderisio.

Pertanto, nonostante qualche voce favorevole ad Antonio Corradini – Celano (1792, p. 88), seguìto da D’Ambra e De Lauzières (1855, p. 223), Chiarini (in Celano 1858, p. 450) e, nel secolo scorso, Riccoboni (1952, p. 155) –, deceduto nell’agosto del 1752, appare pacifico, al netto di probabili modelli e disegni corradiniani ‘sottostanti’, che almeno l’esecuzione dei due Santi spetti a Queirolo. Così com’è indubbio che nel Settecento i mausolei di Santa Rosalia e di Sant’Oderisio servivano «altresì da cappelle per celebrarvisi le messe» (Breve nota 1769, p. 6), ognuno dotato di una mensa marmorea con «uno pezzo intagliato, che la sostiene» (Inventario 1771, c. 78r; cfr. Attanasio 2011, p. 134), e che nelle «urne di marmo orientale […] esser denno situate le reliquie di sant’Oderisio e santa Rosalia della famiglia Di Sangro» (Sigismondo 1788, p. 36; ovvero, che nelle «due bellissime cappelline, una dedicata a Sant’Odorisio in cornu Epistolae, l’altra a Santa Rosalia in cornu Evangelii, […] dovran situarsi le loro reliquie»: Celano 1792, pp. 87-88). Ciò evidentemente rispondeva a un disegno di Raimondo, forse ‘ereditato’, attraverso il nonno Paolo, dal bisnonno Giovan Francesco, e che però il Principe non riuscì a concretizzare, sebbene tenesse tanto alla memoria dei due santi aviti da contemplarli in una triade, capeggiata dalla Madonna della Pietà – «SACELLIS VIRGINI A. PIETATE, S. ODERISIO AC SANCTAE ROSOLIAE DICATIS» –, nell’epigrafe del suo monumento (cfr. la scheda 24), oltre che dar loro adeguato risalto nel programma iconografico della Gloria del Paradiso (Paradiso dei Di Sangro), dipinta nel 1749 da Francesco Maria Russo nella volta della chiesa (cfr. la scheda 28).

Dunque, «pur mancando delle spoglie dei due santi, Raimondo volle ugualmente onorarne la memoria, dedicando loro il posto d’onore sui due altarini frontali» (Picone 1959, p. 95). Sicché la coppia di altari, in un ‘crescendo’ che dalle quattro cappelle coi ‘precursori’ genealogici passa per Raimondo col suo monumento e per il figlio Vincenzo effigiato sulla porta piccola, si estrinseca quasi come preludio e corollario presbiteriale dell’altare maggiore.

Da alcune missive conservate presso la Biblioteca Apostolica Vaticana, messe in luce da Eduardo Nappi (2010, pp. 102-103), apprendiamo che il 14 giugno del 1754 Raimondo di Sangro scrisse una lunga lettera a padre Marino Migliarese, abate di Montecassino, elencando i beni elargiti ai benedettini dalla sua famiglia, ma anche i suoi antenati che avevano dato lustro all’ordine: su tutti Oderisio de Sangro, il quale, prima che santo, era stato abate di Montecassino, e alla sua morte, nel 1105, aveva trovato sepoltura in quella chiesa. A partire dalla fine del Cinquecento la proposta di trasferire i resti del santo da Montecassino alla Pietatella nell’altare a lui dedicato non ebbe mai buon esito, e anche le promesse di sempiterna riconoscenza all’ordine benedettino da parte del Principe non sortirono l’effetto desiderato. Il 15 marzo del 1755, infatti, Migliarese «rispose di essere a conoscenza dell’altare dedicato al santo dai suoi discendenti a Napoli», e che la giusta rivendicazione di una reliquia, che non avrebbe trovato opposizione da parte dei benedettini, non poteva essere esaudita essendo ignoto il luogo di sepoltura del santo (ibidem).

Un’inedita santa visita di Innico Caracciolo alla Pietatella, rintracciata da Mariano Saggiomo (2021-2022, pp. 506-507), non menziona – forse già esistente ma non bisognoso di accomodi – un altare dedicato a Santa Rosalia; però, a proposito delle migliorie in esecuzione tra il 1677 e il 1679, riporta che «dopo che la sacristia sarà ben accomodata con tutto quanto bisognarà si possa accomodare l’altare di Sant’Odorisio conforme parerà all’eccellentissimo signor Principe di San Severo» (Archivio Storico Diocesano di Napoli, Sante Visite, 1677, II, c. 144v).

Tuttavia, proprio in questo giro d’anni è probabile fosse già in atto il tentativo di procacciarsi una reliquia della santa, come inducono a ritenere alcune circostanze legate alla pubblicazione del Trionfo del dolore (1674), descrizione delle solenni esequie celebrate nella chiesa di Santa Maria del Carmine di Torremaggiore in onore di «donna Giovanna di Sangro dei Marchesi di San Lucido, Prencipessa di San Severo» (cfr. le schede 13 e 18). I medaglioni decimo e undicesimo degli apparati erano dedicati a sant’Oderisio e a santa Rosalia, e la trattazione riguardante vita e miracoli di quest’ultima – «de’ Conti di Marsi, e di Sangro, […] figliola di Sinibaldo de’ Conti di Marsi», le cui «sante reliquie furono ritrovate in Palermo per divina disposizione, nel tempo ch’era afflitta quella gran città da una grandissima pestilenza» (1624) –, seguìta dal lunghissimo elogio in latino esposto «sotto il di lei Ritratto», è tra le più ampie del ponderoso volume (Arminio Monforte 1674, pp. 240-275), in quanto la santa fu «protettrice contro la peste la città istessa di Napoli, la quale ottenne da Palermo una insigne reliquia: mandata perciò da quel Senato all’auttore [sic] di questo libro, perché con lettere di credenza in qualità di suo ambasciatore alli Rappresentanti la presentasse della città, havendola riposta nella chiesa di Santa Lucia del Monte, per divina disposizione; accioché in Santa Lucia del Monte si riverisse la reliquia di quella santa, che havea saputo dare al pellegrino monte la luce. Molti signori tengono questa santa per particolar protettrice delle lor case nel Regno, e gli austrici manarchi [sic] la riveriscono come difenditrice dei loro Stati; sì che come hanno il pregio di haver la casa Di Sangro per suddita, così si vantano di haver santa Rosalia di Sangro per protettrice de’ lor reami» (ivi, p. 265).

La rapida diffusione del culto su scala europea, anche per mezzo delle reliquie (Scalisi 2023), coinvolse nel secondo Seicento pure Napoli e, facendo fede all’edizione del 1700 della Guida di Domenico Antonio Parrino (p. 118; cfr. Coiro 2013, p. 210), in Santa Lucia al Monte, tra le altre, era già una «cappella consecrata alla vergine palermitana santa Rosalia, con un quadro della santa d’Andrea Vaccaro» (1604-1670).

L’agostiniano Fulgenzio Arminio Monforte, nel 1656 nominato priore di Firenze e poi teologo del Granduca di Toscana, dal 1669 al 1680 vescovo di Nusco (De Blasi 1962; Melchionna 2012) e autore nel 1662 di L’anno della grazia: discorso per santa Rosalia la reale vergine e protettrice di Palermo, consagrato all’illustrissimo suo Senato (dato alle stampe come Fulgenzio Arminio d’Avellino «predicatore della maggior chiesa di Palermo»), giocò un ruolo primario nell’approdo a Napoli, dono del Senato di Palermo, della «insigne reliquia del braccio di santa Rosalia» (Bottero 2008, p. 540). Certamente tra gli autori più referenziati per attendere a una relazione sulle cerimonie per la defunta Giovanna di Sangro, lo stimato oratore poteva essere stato ingaggiato dai Sansevero con l’intento precipuo, formalmente secondario ma per nulla accessorio, di agevolare l’ottenimento di una porzione delle reliquie della santa. Ambizione che evidentemente Paolo, Giovan Francesco e Raimondo di Sangro non riuscirono a realizzare.

Oltre all’assenza delle ambite spoglie dei santi – la «custodia centinata ovata» ancora visibile nell’altare del Sant’Oderisio (Inventario 1771, c, 78r; cfr. Attanasio 2011, p. 134) può darsi fosse ottimisticamente predisposta per esporre l’agognata reliquia, più che il Sacramento –, i due monumenti, impreziositi da inserti in rame dorato di cui restano tracce sulle fasce di bronzo che attraversano i cuscini «d’amatista» (Inventario 1771, c. 79r; cfr. Attanasio 2011, p. 135), mancano di vari attributi. Fortunatamente sopravvivono le pietre: «la natura morta saporosa e vibrante del cappello cardinalizio accanto al cuscino di porfido, intensamente pittoricizzato», del Sant’Oderisio (Picone 1959, p. 96) e la ghirlanda marmorea di rose che corona il capo della Santa Rosalia (sull’iconografia della santa cfr. Le estasi di santa Rosalia 2024). Tuttavia, uno dei due puttini che fiancheggiavano il Sant’Oderisio non reca più «il pastorale, insegna di detto santo» (Inventario 1771, c. 79r; cfr. Attanasio 2011, p. 135); così, nella Santa Rosalia, i «due puttini, l’uno de’ quali tiene in mano una disciplina, e l’altro un giglio» (Inventario 1771, c. 125r; cfr. Attanasio 2011, p. 152), hanno smarrito gli attributi, probabilmente costituiti di leghe metalliche dorate, solo in parte installate entro il 1771; tant’è che in quell’anno, nella «stanza dove abita don Gennaro Tibet», procuratore del Principe Sansevero, era presente «una mitria di rame indorata con sue pietre false per sant’Odorisio» (Inventario 1771 c. 9v; cfr. Attanasio 2011, p. 119; si veda anche Colapietra 1986, p. 76, nota 8).

Bibliografia essenziale sull’opera

Origlia Paolino Giangiuseppe, Istoria dello Studio di Napoli…, II, Napoli, Giovanni di Simone, 1754, p. 365.

Breve nota di quel che si vede in casa del principe di Sansevero don Raimondo di Sangro nella città di Napoli, [Napoli] 1769, p. 6.

Inventario de’ beni rimasti nell’eredità del fu eccellentissimo don Raimondo di Sangro principe di Sansevero, Napoli, notaio Francesco de Maggio, 1771, copia del documento disponibile presso l’Archivio Storico del Pio Monte della Misericordia di Napoli, fondo d’Aquino di Caramanico, segnatura provvisoria A.162, cc. 9v, 78r-79r, 125r-126r.

Ratti Carlo Giuseppe, Delle vite de’ pittori, scultori ed architetti genovesi. Tomo secondo… in continuazione dell’opera di Raffaello Soprani, Genova, nella stamperia Casamara dalle cinque lampade, 1769, p. 308.

Sarnelli Pompeo, Nuova guida de’ forestieri…, Napoli, Saverio Rossi, 1772, p. 132.

Sigismondo Giuseppe, Descrizione della città di Napoli e suoi borghi, II, [Napoli,] presso i fratelli Terres, 1788, p. 36.

Celano Carlo, Delle notizie del bello, dell’antico e del curioso della città di Napoli per gli signori forastieri… Quarta edizione, in cui si è aggiunto tutto ciò che si è di nuovo fatto in Napoli ne’ nostri tempi…, Giornata Terza, Napoli, Salvatore Palermo, 1792, pp. 87-88.

D’Ambra Raffaele, de Lauzières Achille, Un mese a Napoli. Descrizione della città di Napoli e delle sue vicinanze divisa in XXX giornate…, I-III, Napoli 1855-1857, I, 1855, p. 223.

Celano Carlo, Notizie del bello, dell’antico e del curioso della città di Napoli… Con aggiunzioni de’ più notabili miglioramenti posteriori fino al presente, estratti dalla storia de’ monumenti e dalle memorie di eruditi scrittori napolitani, per cura del cavalier Giovanni Battista Chiarini, III, Napoli 1858, p. 450.

Labò Mario, Queirolo Francesco, in Ulrich Thieme, Felix Becker, Allgemeines Lexikon der Bildenden Künstler von der Antike bis zur Gegenwart, XXVII, Leipzig 1933, p. 504.

Riccoboni Alberto, Sculture inedite di Antonio Corradini, in «Arte Veneta», VI, 1952, pp. 151-156, in particolare p. 155.

Canova Antonio, I quaderni di viaggio (1779-1780), edizione e commento a cura di Elena Bassi, Venezia-Roma 1959, pp. 76-77.

Picone Marina, La Cappella Sansevero, Napoli 1959, pp. 36, 83-84, 95-96, figg. 16-17.

Colapietra Raffaele, Raimondo di Sangro e il Templum sepulcrale della Cappella Sansevero (I), in «Napoli nobilissima», s. III, XXV, 1986, pp. 62-79, in particolare p. 76, nota 8.

de Sangro Oderisio, Raimondo de Sangro e la Cappella Sansevero, Roma 1991, pp. 170-172, nn. 8-9.

Cioffi Rosanna, La Cappella Sansevero. Arte barocca e ideologia massonica, prima edizione: Salerno 1987; edizione citata: Salerno 1994, pp. 40-41, 60-61, 154-155, nota 77 (nn. 8, 16), figg. 36-37.

Ratti Carlo Giuseppe, Storia de’ pittori e scultori et architetti liguri e de’ forestieri che in Genova operarono: secondo il manoscritto del 1762, a cura di Maurizia Migliorini, Genova 1997, p. 215.

Nappi Eduardo, Dai numeri la verità. Nuovi documenti sulla famiglia, i palazzi e la Cappella dei Sansevero, Napoli 2010, pp. 101-103.

Attanasio Sergio, In casa del Principe di Sansevero. Architettura, invenzioni, inventari, Napoli 2011, pp. 44, 119, 134-135, 151-152.

Saggiomo Mariano, Le chiese gentilizie napoletane di Età Moderna: per la ricostruzione storica di un fenomeno dimenticato, tesi di dottorato in Scienze storiche, archeologiche e storico-artistiche, Università degli Studi di Napoli Federico II, XXXIV ciclo, tutors proff. Francesco Caglioti e Bianca de Divitiis, a.a. 2021-2022, in particolare pp. 506-507.

Bibliografia di confronto

Campanile Filiberto, L’historia dell’illustrissima famiglia Di Sangro, Napoli, nella stamperia di Tarquinio Longo, 1615, pp. 4-5.

Arminio Monforte Fulgenzio, L’anno della grazia. Discorso per santa Rosalia la reale vergine e protettrice di Palermo, consagrato all’illustrissimo suo Senato…, Palermo, per Pietro dell’Isola, 1662.

Arminio Monforte Fulgenzio, Il trionfo del dolore. Funerali per la illustrissima ed eccellentissima signora… donna Giovanna di Sangro dei Marchesi di San Lucido, prencipessa di San Severo, celebrati in Torremaggiore nella chiesa di Santa Maria del Carmine… l’anno 1674, Napoli, per Girolamo Fasulo, 1674, pp. 232-275.

Parrino Donato Antonio, Napoli città nobilissima, antica e fedelissima…, I, Napoli, Parrino, 1700, p. 118.

De Blasi Nicola, Arminio Monforte, Fulgenzio, in Dizionario Biografico degli Italiani, 4, Roma 1962, in rete: <www.treccani.it/biografico>.

Bottero Carlo, I conventuali riformati italiani, 1557-1670, II, Insediamenti e appendici, Padova 2008, p. 540.

Melchionna Antonio, Fulgenzio Arminio. Ritratto di un agostiniano irpino dell’epoca barocca, Atripalda 2012.

Coiro Luigi, Aniello Perrone, Raimondo De Dominici e il “teatro” per la canonizzazione di San Pasquale Baylon a Santa Lucia al Monte (1691), in “Napoli nobilissima”, s. VI, IV, 2013, 5-6, pp. 205-218, in particolare p. 210.

Scalisi Lina, Le reliquie di Rosalia. Disegni, ambizioni, devozioni di un culto barocco, in Mezzogiorno prodigioso. Ricerche sul miracolo nel Meridione d’Italia dell’età moderna, a cura di Giulio Sodano, Palermo 2023, pp. 185-201.

Le estasi di Santa Rosalia. Antoon van Dyck, Pietro Novelli, Mattia Preti, Luca Giordano, catalogo della mostra a cura di Maria Concetta Di Natale (Palermo, Pinacoteca di Villa Zito, 24 febbraio – 19 maggio 2024), Cinisello Balsamo (MI) 2024.

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