Autore della scheda: Gianluca Forgione
Il monumento che Raimondo di Sangro destinò alla madre Cecilia Gaetani dell’Aquila d’Aragona (1691-1710), la quale morì pochi mesi dopo la nascita del futuro principe, è probabilmente l’opera oggi più nota e ammirata tra quelle che Antonio Corradini realizzò nel corso della sua lunga e gloriosa carriera, spesa in buona parte a servizio dei più influenti sovrani d’Europa. L’epigrafe della lapide spezzata che la statua velata regge con la mano sinistra riferisce che la defunta rifulse «MORIBUS ELEGANTIA INGENIO / PIETATE RELIGIONE AC FIDE», e che Raimondo, per renderne imperituro il ricordo, nel 1752 decise di dedicare «MATRI INCOMPARABILI / TUMULUM EXCITANDUM». Presso la base del monumento il Principe di Sansevero fece collocare un’ulteriore lapide, la cui iscrizione commemora Corradini, autore «APPOSITI / SIMULACRI VEL IPSIS GRAECIS INVIDENDI», che si spense il 12 agosto del 1752 «DUM RELIQUA HUJUS TEMPLI / ORNAMENTA MEDITABATUR» (cfr. de Sangro 1991, p. 164, n. 6). Lo scultore era giunto a Napoli alla fine degli anni quaranta, e la sua amicizia con Raimondo, forse favorita dalla comune appartenenza alla massoneria napoletana (D’Ayala 1897, p. 461), gli procurò la commissione dell’intero programma decorativo della Cappella Sansevero, per cui plasmò «trenta sei modelli originali di creta cotta» (Origlia Paolino 1754, p. 367), che a causa della morte riuscì solo in parte a tradurre nel marmo (Cioffi 1994, pp. 13-32; Cogo 1996, pp. 122-132, 308-337).
La fama della tomba di Cecilia Gaetani dovette presto travalicare i confini partenopei; eppure, essa suscitò non poche riserve nei viaggiatori e nei conoscitori d’arte che tra il secondo Settecento e il primo Ottocento ebbero occasione di vederla. Se l’abate Jérôme Richard nel 1769 ne rimase positivamente colpito, è ben nota l’impressione sfavorevole che nell’inverno napoletano del 1775 ne ricavò il Marchese De Sade, assai critico riguardo all’intera decorazione plastica del tempio, eccezion fatta per il Cristo velato (Cioffi 2015). E altrettanto inappellabile fu la stroncatura che Leopoldo Cicognara riservò alla Velata nel terzo volume della sua Storia della scultura (1818, p. 96). Ancora poco considerata è invece la preziosa descrizione che della cappella e delle stanze del palazzo dei Di Sangro fornì Donato Andrea Fantoni (1746-1817) in occasione del suo viaggio a Napoli nel 1769: nel diario dell’artista bergamasco, pubblicato solo nel 1977 (p. 51), il capolavoro di Corradini, riprodotto in disegno, viene lodato specialmente per l’artificio illusionistico del velo.
Giangiuseppe Origlia Paolino è il primo a specificare nel 1754 (p. 365) che la già «celebre statua» lavorata dallo scultore veneto raffigura in realtà l’«immagine della Pudicizia», «coverta da capo a’ piedi d’un velo dello stesso marmo, cosa che non fecero giammai gli antichi scultori né greci né romani, e ch’è stata ed è d’ammirazione tutto dì non meno a’ cittadini che a’ forestieri». Poco più tardi, la Breve nota di quel che si vede in casa del principe di Sansevero don Raimondo di Sangro nella città di Napoli, pubblicata sotto il diretto controllo di Raimondo per la terza volta nel 1769 (p. 7; cfr. Attanasio 2011, p. 58), ribadisce che «l’opera più celebre del Corradini che sia in detta chiesa è la statua della Pudicizia, che adorna il mausoleo della madre dell’odierno Principe, la quale è ricoperta da capo a piedi d’un velo dello stesso marmo, sotto di cui si veggono quasi trasparire tutte le nude fattezze della figura». Nell’inventario della chiesa e del palazzo dei Di Sangro, stilato alla morte di Sansevero nel 1771, il monumento di Cecilia Gaetani, il cui ritratto è intagliato nell’«ovato» dell’«obelisco» che sormonta il «piedistallo» marmoreo alle spalle della figura, viene descritto dettagliatamente nelle sue caratteristiche iconografiche e materiali (Inventario 1771, cc. 73r-74v; cfr. Attanasio 2011, p. 133).
Tra le fonti che dovettero ispirare l’ideazione della Velata è senz’altro da considerare l’Iconologia di Cesare Ripa (1593), la cui ultima e più ambiziosa edizione settecentesca in lingua italiana, stampata in cinque volumi, fu curata dall’abate perugino Cesare Orlandi e significativamente dedicata a Raimondo di Sangro, suo finanziatore, con una lunga epistola encomiastica (Ripa 1764, I, pp. III-VIII). Nel quarto volume, dato alle stampe nel 1766 (pp. 432-434), è indicato che la «Pudicizia» «si fa velata nella guisa che abbiamo detto perciocché la donna pudica deve celare la bellezza della sua persona e levare l’occasione dagli occhi, i quali sono cagione il più delle volte di contaminare la pudicizia». Inoltre, nella sua biblioteca Sansevero, il cui interesse per la cultura emblematica rimontava con ogni probabilità alla sua formazione romana presso i gesuiti (1720-1730), custodiva un altro fondamentale repertorio iconografico dell’età moderna, ovvero le Immagini delli dèi degl’antichi di Vincenzo Cartari (1556) nell’edizione veneziana del 1647 (cfr. Raimondo di Sangro 2020, p. 380). Nella sezione del trattato dedicata a Diana, Cartari (1647, pp. 55-59) presenta l’«imagine» di Lucina, associata alla Luna e invocata come protettrice delle partorienti. Presso i Greci la dea veniva spesso raffigurata con un velo che la ricopriva integralmente, e in tal modo essa è riprodotta finanche nel volume del mitografo reggiano.
È assai probabile che tali suggestioni ebbero un peso nella complessa concezione iconografica della Velata napoletana, nella cui generosa figura paiono non a caso rimarcate giustappunto le parti anatomiche connesse alla maternità. Il committente e l’artista intesero conferire una valenza simbolica particolare pure agli altri elementi decorativi della tomba, dalla lapide spezzata alla ghirlanda di rose, dall’incensiere ai rami di quercia che rifioriscono, allusivi ora alla dolorosa brevità della vita e dei piaceri mondani, ora alla durevolezza della fama e alla vita eterna che attende il fedele virtuoso oltre la morte. Quest’ultimo tema è del resto esplicitamente richiamato dal rilievo con il Noli me tangere scolpito da Corradini nella base del monumento, in cui Cristo risorto appare a Maria Maddalena sotto le spoglie del «custode del giardino» (Giovanni 20, 11-18).
Con la Pudicizia e con il Cristo velato, di cui fece in tempo solo a modellare il bozzetto, oggi riconosciuto nella terracotta al Museo della Certosa di San Martino (inv. 13524), Corradini importò a Napoli una formula stilistica ben collaudata, che si era inevitabilmente tradotta in un ‘marchio di fabbrica’ dalle fortunate ricadute commerciali (Grund 2009). Gli studi hanno spesso posto in relazione l’opera napoletana con le precedenti statue velate che avevano innalzato la fama dello scultore, e in particolare con la Vestale Tuccia di Palazzo Barberini a Roma (1743), nella quale l’artista per la prima volta avvolge la figura umana in un unico ampio velo fittamente pieghettato (Cogo 1996, pp. 296-301, n. 40). La Pudicizia della Cappella Sansevero sembra davvero rappresentare il punto apicale di tale percorso, come dimostra la qualità virtuosistica con cui il suo autore ha saputo restituire l’assorto languore del volto, la floridezza delle carni e specialmente le trasparenze illusionistiche del velo, che smentiscono il tema della figura trasformandolo nel suo opposto (Wittkower 1993, p. 395). Fu soprattutto quest’ultima caratteristica a provocare lo sdegno moralistico di un Cicognara: la medesima che oggi invece riempie d’ammirazione al cospetto del limite ultimo cui la scultura barocca poteva essere condotta.
Bibliografia essenziale sull’opera
Origlia Paolino Giangiuseppe, Istoria dello Studio di Napoli…, II, Napoli, Giovanni di Simone, 1754, pp. 365-367.
Breve nota di quel che si vede in casa del principe di Sansevero don Raimondo di Sangro nella città di Napoli, [Napoli] 1769, p. 7.
Inventario de’ beni rimasti nell’eredità del fu eccellentissimo don Raimondo di Sangro principe di Sansevero, Napoli, notaio Francesco de Maggio, 1771, copia del documento disponibile presso l’Archivio Storico del Pio Monte della Misericordia di Napoli, fondo d’Aquino di Caramanico, segnatura provvisoria A.162, cc. 73r-74v.
Cicognara Leopoldo, Storia della scultura dal suo risorgimento in Italia sino al secolo XIX…, III, Venezia 1818, p. 96.
Picone Marina, La Cappella Sansevero, Napoli 1959, pp. 85-86.
Fantoni Donato Andrea, Diario di viaggio e lettere. 1766-1770, a cura di Anna Maria Pedrocchi, Bergamo 1977, p. 50.
Nava Cellini Antonia, La scultura del Settecento, Torino 1982, pp. 166-167.
de Sangro Oderisio, Raimondo de Sangro e la Cappella Sansevero, Roma 1991, pp. 161-165, n. 6.
Wittkower Rudolf, Arte e architettura in Italia. 1600-1750, prima edizione: Torino 1958; edizione citata: Torino 1993, p. 395.
Cioffi Rosanna, La Cappella Sansevero. Arte barocca e ideologia massonica, prima edizione: Salerno 1987; edizione citata: Salerno 1994, in particolare pp. 109-110.
Cogo Bruno, Antonio Corradini scultore veneziano, 1688-1752, Este 1996, pp. 124-126, 131, 296-301, n. 40, pp. 308-319.
Grund Sonja, La Pudicizia di Antonio Corradini: la donna velata e la sua fortuna tra Venezia e Napoli, in «Napoli è tutto il mondo». Neapolitan Art and Culture from Humanism to the Enlightenment, atti del convegno a cura di Livio Pestilli, Ingrid D. Rowland e Sebastian Schütze (Roma, 19-21 giugno 2003), Pisa-Roma 2008, pp. 309-328.
Deckers Regina, Die Testa velata in der Barockplastik. Zur Bedeutung von Schleier und Verhüllung zwischen Trauer, Allegorie und Sinnlichkeit, München 2010, pp. 257-313, in particolare pp. 279-282.
Nappi Eduardo, Dai numeri la verità. Nuovi documenti sulla famiglia, i palazzi e la Cappella dei Sansevero, Napoli 2010, pp. 99-101.
Attanasio Sergio, In casa del Principe di Sansevero. Architettura, invenzioni, inventari, Napoli 2011, pp. 43-44, 58, 77, 133.
Cioffi Rosanna, Due francesi in viaggio a Napoli. L’Abbé Jérôme Richard e il Marquis de Sade nella Cappella Sansevero, in La Campania e il Grand Tour. Immagini, luoghi e racconti di viaggio tra Settecento e Ottocento, a cura di Rosanna Cioffi, Sebastiano Martelli, Imma Cecere e Giulio Brevetti, Roma 2015, pp. 329-340.
Napoli, la Cappella Sansevero e il Cristo velato. Naples, Sansevero Chapel and the Veiled Christ, testi di Marco Bussagli, fotografie di Carlo Vannini, Bologna 2019, pp. 12-14, 98-99, 106-109, 217-218.
Raimondo di Sangro. Cronaca di vita e opere, a cura di Fabrizio Masucci e Leen Spruit, Napoli 2020, pp. 126-127.
Bibliografia di confronto
Cartari Vincenzo, Immagini delli dèi degl’antichi, Venezia, Tomasini, 1647, pp. 55-59.
Ripa Cesare, Iconologia del cavaliere Cesare Ripa perugino, notabilmente accresciuta d’immagini, di annotazioni e di fatti dall’abate Cesare Orlandi, patrizio di Città della Pieve accademico augusto. A Sua Eccellenza don Raimondo di Sangro…, I-V, Perugia, Piergiovanni Costantini, 1764-1767, I, 1764, pp. III-VIII; e II, 1766, pp. 432-434.
D’Ayala Michelangelo, I liberi muratori di Napoli nel secolo XVIII, in «Archivio Storico per le Province Napoletane», XXII, 1897, 4, pp. 404-463, in particolare p. 461.
Picone Marina, La Cappella Sansevero, Napoli 1959, pp. 27-32.
Cioffi Rosanna, Sulla scultura veneta del Settecento a Napoli: Antonio Corradini e la «Mestizia» della Cappella Sansevero, in Studi di storia dell’arte in memoria di Mario Rotili, Napoli 1984, pp. 555-565.
Cioffi Rosanna, La Cappella Sansevero. Arte barocca e ideologia massonica, prima edizione: Salerno 1987; edizione citata: Salerno 1994, pp. 13-32.
Cogo Bruno, Antonio Corradini scultore veneziano, 1688-1752, Este 1996, pp. 122-132, 308-337.
Raimondo di Sangro. Cronaca di vita e opere, a cura di Fabrizio Masucci e Leen Spruit, Napoli 2020, p. 380.