Monumento funerario di Alessandro di Sangro, patriarca di Alessandria, Giovan Domenico Monterosso, Giacomo Lazzari, Giovanni Antonio Galluccio

Cat. 4. Monumento funerario di Alessandro di Sangro, patriarca di Alessandria

Artista Giovan Domenico Monterosso: busto e angeli; Giacomo Lazzari (Firenze, 1574 – Napoli, 1640) e Giovanni Antonio Galluccio: progetto del sepolcro e paramento marmoreo
Titolo dell’opera Monumento funerario di Alessandro di Sangro, patriarca di Alessandria
Tecnica rilievo
Materia marmo
Datazione 1625-1627
Dimensioni 464 (a) x 270 (l) x 60 (p) cm
Collocazione Cappella Sansevero, altare maggiore

Autore della scheda: Sabrina Iorio

Alessandro di Sangro († 1633), nato da Giovan Francesco, duca di Torremaggiore e primo principe di Sansevero, fu patriarca di Alessandria dal 1604 e arcivescovo di Benevento dal 1616. Un’iscrizione collocata all’esterno della porta maggiore della chiesa di Santa Maria della Pietà, meglio nota come Cappella Sansevero, lo identifica nel fondatore del tempio: «ALEXANDER DE SANGRO PATRIARCHA ALEXANDRIAE / TEMPLUM HOC A FUNDAMENTIS EXTRUCTUM BEATAE VIRGINI / SIBI AC SUIS SEPOLCRUM AN. DOM. MDCXIII» (cfr. de Sangro 1991, p. 141). Anche le fonti antiche, perlopiù periegetiche, riconoscono al Patriarca un ruolo di primo piano nell’erezione di quello che sarebbe diventato il mausoleo della famiglia Di Sangro – ovvero il luogo ove le spoglie di tutti i suoi componenti, nella linea dei Principi di Sansevero, sarebbero state raccolte –, tanto per l’impegno profuso nel suo abbellimento quanto, soprattutto, per l’istituzione del suo giuspatronato (Saggiomo 2021-2022, p. 504).

In virtù di ciò il monumento funebre di Alessandro sorge in posizione preminente all’interno della Pietatella, ossia alla destra dell’altare maggiore, un’ubicazione di prestigio conservata anche dopo gli interventi settecenteschi voluti da Raimondo di Sangro, che ne condizionarono l’assetto originario al punto da determinare, tra le altre cose, lo spostamento di un altro antico sepolcro ivi presente, quello di Paolo di Sangro, secondo principe di Sansevero e fratello del presule, dalla sinistra dell’altare maggiore al primo arco della navata a destra a partire dall’ingresso principale (cfr. la scheda 19). Le tombe dei due fratelli, che tanta parte ebbero nella costruzione del primo nucleo della chiesa di famiglia, vengono infatti descritte alla destra e alla sinistra dell’altar maggiore – in cornu Evangelii e in cornu Epistulae – già nel 1634 in occasione della prima visita pastorale effettuata in Santa Maria della Pietà dall’arcivescovo Francesco Boncompagni (Saggiomo 2021-2022, pp. 505-506). Tale testimonianza consente di superare l’ipotesi per cui il mausoleo di Alessandro sarebbe stato originariamente innalzato nella navata per formare un quadrato con gli altri tre monumenti secenteschi, quindi trasferito al lato dell’altare soltanto dopo il 1742 per adattarsi al nuovo programma iconografico concepito da Raimondo (cfr. Picone 1959, p. 86; de Sangro 1991, p. 159).

Il monumento del Patriarca d’Alessandria si distingue dagli altri sepolcri dei Di Sangro non soltanto, come si è detto, per la significativa ubicazione, ma anche per la sua tipologia, trattandosi di una figura a mezzo busto e non di una scultura stante. Alessandro è rappresentato in vesti prelatizie, e con le mani giunte in preghiera si rivolge alla miracolosa icona della Madonna della Pietà, cui la chiesa era stata dedicata, e che al tempo dell’erezione del deposito fungeva da pala dell’altare maggiore. L’effigie del fondatore si affaccia da una nicchia limitata da una coppia di colonne in stile composito, ed è sormontata da un timpano su cui alloggiano, ai lati di una grande croce, due angeli alati a tutto rilievo. Ricchissimo è il paramento nel suo complesso, con formelle marmoree mistilinee bordate da un listello bianco e fini elementi decorativi di gusto accentuatamente plastico, quali testine, borchie, volute fitomorfe e ghirlande (cfr. Inventario 1771, cc. 69v-71r, e Attanasio 2011, pp. 131-132). Al di sotto dell’elegante deposito leggiamo l’epigrafe posta dal pronipote del presule, Giovan Francesco di Sangro, quinto principe di Sansevero, che nel 1652 traslò da Roma le ceneri dell’avo in ottemperanza alle sue disposizioni testamentarie (de Sangro 1991, pp. 159-160).

Riguardo alla paternità del monumento le fonti periegetiche non si sono mai espresse in maniera univoca, attribuendo il sepolcro ora ad autore ignoto – un «eccellente scarpello» secondo Pompeo Sarnelli (1772, p. 131), «ottimo» a parere di Gennaro Aspreno Galante (1872, p. 160) – ora a Cosimo Fanzago (D’Ambra, De Lauzières 1855, p. 222). Secondo Marina Picone (1959, pp. 13-14, 86-87), la «stretta orbita fanzaghiana» del mausoleo è ravvisabile nel gusto decorativo del suo insieme più che nel busto di Alessandro: quest’ultimo, infatti, seppure compositivamente vicino a opere di Fanzago quali il Geronimo Flerio in Santa Maria di Costantinopoli (cfr. D’Agostino 2011, pp. 345-346, n. A.6), mancherebbe di quella viva caratterizzazione che contraddistingue gli autografi del bergamasco. Quando nel 1975 Eduardo Nappi pubblicò il frutto della sua ricerca sulla famiglia Sansevero rendendo noti i pagamenti agli artisti che operarono nel tempio gentilizio tra il XVI e il XVIII secolo, il nome di Giovan Domenico Monterosso emerse in merito all’esecuzione per conto del «patriarca arcivescovo di Benevento», nel 1625, di «due angeli di marmo et uno ritratto fatto nel deposito nella Cappella della Pietà», per i quali lo scultore vicentino ricevé il compenso pattuito di novantadue ducati (cfr. ora Nappi 2010, p. 113, doc. 342). Su tali basi documentarie Oderisio de Sangro (1991, p. 159) avrebbe poi plausibilmente avanzato il nome di Monterosso quale autore dell’opera.

Tra il 1620 e il 1621 Giovan Domenico si era cimentato nella tipologia del ritratto a mezza figura prendendo parte a un prestigioso incarico: la realizzazione di tre delle otto «mezze statue di marmo delli gloriosi santi patroni di Napoli» (Sant’Aspreno, San Carlo Borromeo e Sant’Agrippino), commissionate dal cardinale Decio Carafa per l’abside del Duomo di Napoli e trasferite alla metà del XVIII secolo sui pilastri della navata dell’edificio e nella Cappella del Seminario (Panarello 2010, pp. 58-60). Questi busti offrono confronti stilisticamente stringenti con l’effigie di Alessandro di Sangro, se consideriamo in particolare la fisionomia dei volti dai lineamenti duri e vigorosi, con la bassa fronte pronunciata e gli occhi dallo sguardo fisso, e il trattamento della materia, nella resa a malapena sbozzata di barba e capelli e nei panneggi delle vesti riprodotti in fitte pieghe parallele, secondo un gusto quasi xilografico, molto lontano da ogni intento pittoricistico (Iorio 2015, pp. 97-98).

Lo schema ieratico del ritratto del Patriarca, chiuso e immobile nel suo gesto di preghiera, combinato a un modellato stilizzato e sintetico, coerente con l’indirizzo di Monterosso ed evidente, in particolare, nelle pieghe della veste che si sviluppano come «fredde scanalature estranee al soggetto» e «motivi di decorazione di un sarcofago strigilato» (Picone 1959, p. 87), potrebbe rimandare a un certo filone di arte controriformata teso al recupero degli stilemi della ‘Chiesa delle origini’. Che il presule avesse scelto di proposito di essere raffigurato come un’antica icona ortodossa, anche in virtù dei suoi importanti titoli ecclesiastici, scegliendo peraltro un artista che di questa tipologia iconografica era già pratico, resta una suggestione molto forte. Anche il trattamento non finito della scultura, appena sbozzata nei tratti del viso e nella resa di barba e capelli, sembra essere perfettamente assonante con un indirizzo stilistico orientato a una rappresentazione ‘simbolica’ della realtà, fungendo nel contempo da espediente per ritrarre, nel marmo del proprio sepolcro, un personaggio vivente.

L’impianto architettonico e decorativo del monumento funebre trova forti rispondenze con quello che incornicia i ritratti a mezzo busto dei coniugi Antonio Carafa e Beatrice Colonna, pure attribuiti al Monterosso (Iorio 2015, p. 97) e collocati nella Cappella Carafa della Santissima Annunziata di Napoli (1623-1626), impresa per la quale riceverono pagamenti – pari a oltre quattromila ducati – i marmorai Giacomo Lazzari e Giovan Antonio Galluccio (ivi, pp. 97-98, 100). Tale continuità linguistica emerge nel motivo delle cornici in cui sono collocate le mezze figure, tutt’e tre poggianti su una mensola a forma di cono rovesciato; nello stile auricolare delle volute che decorano le urne; e nelle caratteristiche colonne con capitelli ionici e ghirlande. Considerando che per il sepolcro del Patriarca i pagamenti al Monterosso sono circoscritti ai soli due angeli e al ritratto, e cioè non all’opera nel suo insieme ma specificamente alle sculture, e che al 1627 Lazzari e Galluccio vengono pagati da Alessandro per alcuni lavori non meglio identificati nella Cappella Sansevero (una fornitura di «tre carate di marmo bianco»: cfr. Nappi 2010, p. 113, doc. 343), si può ragionevolmente assegnare ai due marmorai già artefici della Cappella Carafa finanche la decorazione marmorea – se non anche il progetto e il coordinamento dei lavori – del mausoleo del fondatore del tempio gentilizio.

Bibliografia essenziale sull’opera

Breve nota di quel che si vede in casa del principe di Sansevero don Raimondo di Sangro nella città di Napoli, [Napoli] 1766, pp. 5-6.

Inventario de’ beni rimasti nell’eredità del fu eccellentissimo don Raimondo di Sangro principe di Sansevero, Napoli, notaio Francesco de Maggio, 1771, copia del documento disponibile presso l’Archivio Storico del Pio Monte della Misericordia di Napoli, fondo d’Aquino di Caramanico, segnatura provvisoria A.162, cc. 69v-71r.

Sarnelli Pompeo, Nuova guida de’ forestieri…, Napoli, Saverio Rossi, 1772, p. 131.

D’Ambra Raffaele, De Lauzières Achille, Un mese a Napoli. Descrizione della città di Napoli e delle sue vicinanze divisa in XXX giornate…, I-III, Napoli 1855-1857, I, 1855, p. 222.

Galante Gennaro Aspreno, Guida sacra della città di Napoli, Napoli 1872, p. 160.

Picone Marina, La Cappella Sansevero, Napoli 1959, pp. 13-14, 86-87.

Colapietra Raffaele, Raimondo di Sangro e il Templum sepulcrale della Cappella Sansevero (I), in «Napoli nobilissima», s. III, XXV, 1986, pp. 62-79, in particolare pp. 65, 67.

de Sangro Oderisio, Raimondo de Sangro e la Cappella Sansevero, Roma 1991, pp. 141, 158-160.

Nappi Eduardo, Dai numeri la verità. Nuovi documenti sulla famiglia, i palazzi e la Cappella dei Sansevero, Napoli 2010, pp. 93-95, 113, docc. 342-343.

Attanasio Sergio, In casa del Principe di Sansevero. Architettura, invenzioni, inventari, Napoli 2011, pp. 57-58, 131-132.

Iorio Sabrina, Sull’arte marmorea di primo Seicento a Napoli: Iacopo Lazzari, Tommaso Montani, Francesco Cassano, Giovan Marco Vitale e Giovan Domenico Monterosso, in Ricerche sull’arte a Napoli in età moderna. Saggi e documenti 2015, Napoli 2015, pp. 82-105, in particolare pp. 97-98, 100.

Saggiomo Mariano, Le chiese gentilizie napoletane di Età Moderna: per la ricostruzione storica di un fenomeno dimenticato, tesi di dottorato in Scienze storiche, archeologiche e storico-artistiche, Università degli Studi di Napoli Federico II, XXXIV ciclo, tutors proff. Francesco Caglioti e Bianca de Divitiis, a.a. 2021-2022, pp. 501-552, in particolare pp. 504-506.

Bibliografia di confronto

Panarello Mario, Artisti della tarda maniera nel Viceregno di Napoli. Mastri scultori, marmorari e architetti, Soveria Mannelli 2010, pp. 58-60.

D’Agostino Paola, Cosimo Fanzago scultore, Napoli 2011, pp. 345-346, n. A.6.

Monumento funerario di Alessandro di Sangro, patriarca di Alessandria, Giovan Domenico Monterosso, Giacomo Lazzari, Giovanni Antonio Galluccio