Autore della scheda: Augusto Russo
Ricordata più di trent’anni fa in relazione alla tecnica pittorica messa a punto da Raimondo di Sangro con cera diluibile in acqua per il mescolamento dei colori (de Sangro 1991, pp. 67-68), l’opera è stata acquisita al Museo Cappella Sansevero dall’attuale proprietà nel 2005: e si è trattato come di un ritorno a casa (Fabrizio Masucci, in I nostri omaggi 2010, pp. 34-36, n. 6).
A onta del soggetto e della composizione affatto usuali, questa Madonna col Bambino è un documento singolare ed eloquente del particolare contesto in cui prese forma, in relazione agli aspetti congiunti della committenza e della materialità del manufatto (uno studio completo si deve a Cerasuolo 2019). Il nome dell’autore e la data d’esecuzione sono nel retro: «GIUSEPPE PESCE ROMANO DIPINSE / NELL’AN[NO] 1757». Il dipinto fu voluto da Raimondo di Sangro, che ne fece omaggio a Carlo di Borbone, da lui servito come uomo d’armi e di corte. Parimenti nel retro, infatti, si trova la lunga scritta dedicatoria, che si distingue inoltre per la dichiarazione e il primato dell’invenzione, da parte del Principe di Sansevero, della tecnica pittorica fatta adottare all’artista: «ALL’AUGUSTISSIMO CARLO / RE DELLE DUE SICILIE E DI GERUSALEMME / INFANTE DI SPAGNA / DUCA DI PARMA E PIACENZA / GRAN PRINCIPE EREDITARIO DI TOSCANA / INCLITO PROTETTORE DELLE BELLE ARTI / SUO SIGNORE / RAIMONDO DI SANGRO / PRINCIPE DI S. SEVERO / PRIMO INVENTORE / DELLA DIPINTURA COLLE CERE COLORATE / A TEMPERA / QUESTO PRIMO SAGGIO / DONA DEDICA E CONSAGRA».
Ciò ha permesso d’identificare il quadro in esame con quello che, in una fonte coeva e molto vicina a Raimondo, si ricorda allora custodito negli appartamenti reali e si dice «dipinto con cere colorate d’una maniera molto più bella di quella già ritrovata dal Conte di Caylus di Parigi» (Breve nota 1766, p. 24). Nella stessa fonte, poi, è riferito che a casa Di Sangro si conservavano vari saggi di tale tecnica: il Principe, partendo dall’uso antico, avrebbe ridotto il metodo a maggior perfezione, e come esempio vengono menzionati alcuni quadretti che così eseguiti avevano la raffinatezza propria delle miniature. Nel 1758 Raimondo replicò l’esperienza, facendo eseguire al medesimo pittore una Sacra Famiglia a encausto, secondo la propria invenzione, per farne dono stavolta alla regina imperatrice Maria Teresa d’Austria: questo secondo quadro, peraltro irreperibile, presentava anch’esso nel retro la dedica del committente e la firma dell’artista con la data, com’è registrato nell’inventario della Galleria del Belvedere a Vienna nel 1781 (de Mechel 1784, p. 145, n. 17; cfr. Attanasio 2011, p. 63, nota 29; Cerasuolo 2019).
Il riferimento al Caylus, autore del Mémoire sur la peinture à l’encaustique et sur la peinture à la cire (1755), dà il segnale dell’aggiornamento internazionale e della larghezza delle conoscenze di Raimondo in materia, e quindi della sua tempestiva partecipazione più o meno diretta alla discussione e alla sperimentazione che in quel momento si svolgevano in Europa sull’affascinante tema della pittura a encausto, le cui eccezionali caratteristiche interessavano una platea di antiquari, intellettuali, conoscitori e artisti. Sappiamo che Raimondo aveva nella sua biblioteca i volumi dell’Encyclopédie, con un’aggiornata definizione alla voce encaustique (1755), e anche una copia del Memoire del Caylus (Fabrizio Masucci e Leen Spruit, in Raimondo di Sangro 2020, pp. 319, 357).
Come si sa, la competenza e la pratica del Principe al riguardo sono testimoniate da viaggiatori e scrittori del tempo. L’abbé Richard (1766, p. 199) scrive che Raimondo aveva «le secret de la peinture encaustique» e affermava di non aver contratto alcun debito con gli artisti francesi: di aver anzi conquistato quel segreto solo attraverso le proprie ricerche e di averne persino spiegato i procedimenti allo stesso Caylus. L’astronomo Lalande (1769, p. 244) descrive presso il Sansevero un quadro realizzato «avec le cire colorée et privée de son huile», che gli parve «au-dessus des encaustiques qu’on a faits à Paris d’après M. le comte de Caylus». Occorre tener presente, del resto, che al centro del dibattito in clima illuministico era, non meno del segreto stesso della ricreazione di quella tecnica, la liceità di mantenerlo o meno pubblicamente.
Docile nell’assecondare i desiderata di Raimondo, Giuseppe Pesce (o Pesci), il cui catalogo al momento risulta esiguo, anche per sfortune materiali, non fu artista di primo piano. Con ogni verosimiglianza, egli era figlio del più noto pittore Girolamo, che, scolaro di Carlo Maratti (1625-1713) e poi di Francesco Trevisani (1656-1746), fu attivo a Roma e nel Lazio perlopiù in commesse sacre, ed ebbe una discreta fortuna anche all’estero (su di lui: Randolfi 2015). Nato nel 1710, Giuseppe era ancora a Roma nel 1750, abitando nella parrocchia di San Lorenzo in Lucina (Pampalone 2004, p. 44; Eadem 2013, p. 202).
L’attività giovanile nell’Urbe è pressoché ignota, anche se in una guida gli è attribuita la decorazione della volta della sacrestia nella chiesa dei Santi Claudio e Andrea dei Borgognoni (Roma antica e moderna 1750, p. 257; per un primo approfondimento della fase romana dell’artista cfr. ora Russo 2025). Si conoscono vari suoi dipinti in area marchigiana, in particolare a San Severino Marche, dove le fonti locali gli riferiscono, tra l’altro, la pala d’altare maggiore nel Duomo vecchio risalente al 1741-1742 (cfr. da ultimo Massimo Francucci, in Pro Loco lombarde Pro Arte 2021, pp. 121-128). Non si sa quando di preciso il pittore si trasferì a Napoli, dove gli sono riferiti dalla guidistica (Sigismondo 1788, pp. 132, 265) due sovrapporte a Santa Maria Donnaregina Nuova, non reperite, e due dipinti a olio nei coretti delle monache ai lati dell’altar maggiore di Santa Chiara, la cui decorazione andò distrutta nel 1943 durante la Seconda guerra mondiale. L’intervento a Santa Chiara è documentato al 1759 (Mormone 1959, p. 103).
I pochi dati d’archivio al momento noti su Pesce riguardano, non a caso, il suo rapporto col Principe di Sansevero. Un pagamento nel 1760 «per saldo di sue provisioni a tutto novembre 1759» indicherebbe che l’artista doveva riceverne una paga più o meno costante, lavorando alle sue dipendenze. Ma nel 1763 altri documenti testimoniano una lite tra i due: Pesce aveva fatto ricorso al re e accusava il committente di non averlo pagato secondo i patti, intendendo recuperare «19 mesate alla ragione di ducati 30 l’una per alcune pitture, pastelli e disegni», mentre Raimondo negava che esistessero accordi di tal sorta; la questione fu sistemata ‘amichevolmente’, fuori dai tribunali, con una liquidazione di duecento ducati al ricorrente (per i documenti: Nappi 2010, pp. 83-85, docc. 268-271). Nell’inventario dei beni del Principe, redatto alla sua morte (1771, c. 59v; cfr. Attanasio 2011, pp. 89, 127), sono menzionati come di Pesce due quadri raffiguranti Venere presso l’appartamento detto della Fenice a Palazzo Sansevero. Del 1765 è, infine, un pagamento relativo alla partecipazione del pittore alla decorazione, non conservata, di Palazzo Orsini di Gravina (Guida 2011, p. 366, doc. 75).
Stilisticamente la Madonna col Bambino del Museo Cappella Sansevero è improntata a un generico classicismo, in linea con la provenienza romana di Pesce e la cultura di suo padre. L’esame IR ha rivelato tracce di un disegno preparatorio accorto, e il colore risulta steso con diligenza e compattezza. D’altro canto, le pennellate un po’ faticose non possono non addebitarsi anche all’insolito medium, che ostacola una fluida stesura del colore (Cerasuolo 2019).
Bibliografia essenziale sull’opera
Breve nota di quel che si vede in casa del Principe di Sansevero don Raimondo di Sangro nella città di Napoli, [Napoli] 1766, p. 24.
de Sangro Oderisio, Raimondo de Sangro e la Cappella Sansevero, Roma 1991, pp. 67-68.
I nostri omaggi, Principe!, catalogo della mostra a cura di Fabrizio Masucci (Napoli, Museo Cappella Sansevero, 23 aprile – 18 luglio 2010), Napoli 2010, pp. 34-36, n. 6.
Cerasuolo Angela, Raimondo di Sangro e le sperimentazioni sull’encausto in Europa: la Madonna con Bambino di Giuseppe Pesce donata a Carlo di Borbone, in «Polygraphia», 1, 2019, pp. 85-105.
Russo Augusto, Giuseppe Pesci: New Findings on a Little-Known Eighteenth-Century Painter and Draughtsman, in «RIHA Journal», 0324, 24 June 2025, solo in rete: https://doi.org/10.11588/riha.2025.1.109016
Bibliografia di confronto
Roma antica e moderna, o sia nuova descrizione di tutti gl’edificj antichi e moderni, tanto sagri quanto profani, della città di Roma, II, Roma, appresso Gregorio Roisecco, 1750, p. 257.
Richard Jérôme, Description historique et critique de l’Italie…, IV, Dijon-Paris, chez François Des Ventes et Michel Lambert, 1766, p. 199.
Lalande Joseph-Jérôme Le Français de, Voyage d’un François en Italie, fait dans les années 1765 et 1766…, VI, Venice-Paris, chez Desaint, 1769, p. 244.
Inventario de’ beni rimasti nell’eredità del fu eccellentissimo don Raimondo di Sangro principe di Sansevero, Napoli, notaio Francesco de Maggio, 1771, copia del documento disponibile presso l’Archivio Storico del Pio Monte della Misericordia di Napoli, fondo d’Aquino di Caramanico, segnatura provvisoria A.162, c. 59v.
de Mechel Chrétien, Catalogue des tableaux de la Galerie impériale et royale de Vienne, Basel 1784, p. 145, n. 17.
Sigismondo Giuseppe, Descrizione della città di Napoli e suoi borghi, I, [Napoli,] presso i fratelli Terres, 1788, pp. 132, 265.
Mormone Raffaele, Il rifacimento settecentesco nella chiesa di Santa Chiara a Napoli, in Studi in onore di Riccardo Filangieri, III, Napoli 1959, p. 103.
Pampalone Antonella, Parrocchia di Sant’Andrea delle Fratte. Rione Colonna, in Studi sul Settecento Romano. Artisti e artigiani a Roma, I, dagli Stati delle Anime del 1700, 1725, 1750, 1775, a cura di Elisa Debenedetti, Roma 2004, p. 44.
Nappi Eduardo, Dai numeri la verità. Nuovi documenti sulla famiglia, i palazzi e la Cappella dei Sansevero, Napoli 2010, pp. 83-85, docc. 268-271.
Attanasio Sergio, In casa del Principe di Sansevero. Architettura, invenzioni, inventari, Napoli 2011, p. 63, nota 29, pp. 89, 127.
Guida Gloria, Il Palazzo Gravina: nuovi documenti, in Istituto Banco di Napoli-Fondazione. Quaderni dell’Archivio Storico 2009-2010, Napoli 2011, pp. 345-380, in particolare p. 366, doc. 75.
Pampalone Antonella, Parrocchia di San Lorenzo in Lucina. Rione Colonna, in Studi sul Settecento Romano. Artisti e artigiani a Roma, III, dagli Stati delle Anime del 1700, 1725, 1750, 1775, a cura di Elisa Debenedetti, Roma 2013, pp. 202, 256, nota 658.
Randolfi Rita, Pesci, Girolamo, in Dizionario Biografico degli Italiani, 82, Roma 2015, in rete: www.treccani.it/biografico.
Raimondo di Sangro. Cronaca di vita e opere, a cura di Fabrizio Masucci e Leen Spruit, Napoli 2020, pp. 319, 357.
Pro Loco lombarde Pro Arte, a cura di Pierluigi Moriconi, Comitato Regionale UNPLI Lombardia-APS, Restauri nelle Marche colpite dal sisma 2016, Milano 2021, pp. 121-128.
Russo Augusto, Giuseppe Pesci: New Findings on a Little-Known Eighteenth-Century Painter and Draughtsman, in «RIHA Journal», 0324, 24 June 2025, solo in rete: https://doi.org/10.11588/riha.2025.1.109016