Macchina anatomica uomo, Giuseppe Salerno
Macchina anatomica donna, Giuseppe Salerno
of

Cat. 29. Macchine anatomiche

Artista Giuseppe Salerno (Palermo, 1728 – ivi, 1792)
Titolo dell’opera Macchine anatomiche
Tecnica ceroplastica
Materia scheletri umani, ferro, cera, coloranti, perni, cerniere, chiodi
Datazione 1756, 1763
Dimensioni 140 (a) x 70 (l) cm; 180 (a) x 41 (l) cm
Collocazione Cappella Sansevero, cavea sotterranea

Autrice della scheda: Eleonora Loiodice

Nella cavea ipogea della Cappella Sansevero, che nelle intenzioni del principe Raimondo avrebbe dovuto ospitare il Cristo velato (cfr. la scheda 5) e le tombe dei discendenti (di Sangro 2018, p. 32), sono oggi esposti, all’interno di teche di vetro e legno, le Macchine anatomiche, ormai parte integrante dell’identità del Museo e dell’interesse che lo riguarda. Nella Breve nota di quel che si vede in casa del principe di Sansevero don Raimondo di Sangro nella città di Napoli (1769, pp. 21-24; cfr. Attanasio 2011, pp. 61-62) leggiamo che queste due statue erano state inizialmente collocate da Raimondo di Sangro nell’appartamento della Fenice nel suo palazzo di famiglia: «si veggono due Macchine anatomiche, o, per meglio dire, due scheletri, d’un maschio e d’una femmina, ne’ quali si osservano tutte le vene e tutte le arterie de’ corpi umani, fatte per injezione» (Breve nota 1769, p. 22). Ne abbiamo attestazione anche nella descrizione dettagliata e meravigliata di Donato Andrea Fantoni (1977, p. 51) in occasione del suo viaggio a Napoli nel 1769: «viddi due machine anatomisate d’un uomo e d’una donna, conservati in due separati ripostigli». I due modelli rimarranno nell’appartamento almeno fino al 1771, come documenta l’inventario dei beni del Principe, compilato in quell’anno (c. 60r; cfr. Attanasio 2011, p. 96). Nel 1856, invece, Camillo Napoleone Sasso (p. 200) menziona le due Macchine in Cappella.

Secondo una tradizione leggendaria particolarmente fortunata, sarebbe stato lo stesso Di Sangro, nel laboratorio in cui erano le sue creazioni e gli studi sulla palingenesi, a iniettare un liquido capace di pietrificare e rendere immortali i sistemi arterioso e venoso di due suoi servi (Colonna di Stigliano 1895, p. 121; Macci 2006, p. 27). In realtà, queste due statue angiografiche si devono al sacerdote e medico anatomopatologo palermitano Giuseppe Salerno. Ai piedi della donna era possibile vedere anche il feto del bambino morto con la madre (Attanasio 2011, p. 62), che sempre Fantoni (1977, p. 51) descriveva nel Palazzo «ben conservato et eseguito» nonostante che fosse costituito da «minutissime parti» «facili a essere rotte nell’operazione e corrotte dal tempo». Il feto fu però trafugato in Cappella da ignoti tra il 1983 e il 1986, quando pare che del manufatto si conservassero solo pochi resti, e ch’esso non fosse più legato con il cordone ombelicale al corpo della macchina adulta.

Sappiamo che la prima macchina anatomica, quella dell’uomo, fu esposta il 5 maggio del 1756 all’Accademia Medica di Palermo, dove, «alla presenza dell’eccellentissimo viceré don Giovanni Fogliani, e col concorso degli eruditi, in questa nostra accademia il nostro anatomo e medico dottor sacerdote Giuseppe Salerno palermitano mostrò uno scheletro elaboratissimo da ogni parte» (traduzione da De Gregorio e Russo 1762, p. 246). La notizia giunse al re Carlo di Borbone a Napoli, il quale invitò Salerno a tenere una lezione sul suo modello anatomico a medici e letterati. Tra questi vi era anche il Principe di Sansevero, che, dopo aver visto la macchina, la acquistò per esporla nel suo palazzo e propose al medico palermitano di lavorare per lui. Attanasio (2011, p. 95) suppone che anche la macchina anatomica femminile possa essere stata realizzata dal Salerno per conto proprio e poi fornita in un secondo momento al Principe. Questa ipotesi sarebbe giustificata dal fatto che nella prefazione agli Opuscoli di autori siciliani (De Gregorio e Russo 1762, p. XVI) è riportato che Salerno eseguì altre tre statue, «due di donne ed uno di uomo». Da ciò si ricava che una macchina femminile fosse stata fornita al Principe, da riconoscere in quella attualmente in Cappella, mentre l’altra coppia, descritta da Giovanni Gorgone (1801-1868), dovette rimanere presso l’Università di Palermo, e di essa si sarebbe poi persa ogni traccia (Pitrè 1868, p. 53).

Dai documenti ritrovati nell’Archivio Storico del Banco di Napoli (Nappi 2010, pp. 36-37, docc. 68-70) sappiamo che il Principe effettuò pagamenti a favore del medico palermitano dal 1763 al 1765, e che quest’ultimo, stipulando un contratto con Sansevero il primo febbraio 1763, si era impegnato a prestare la sua opera per 2000 ducati, da riscuotere in rate di 150 ducati l’anno. In più, il 22 aprile del 1765 il falegname Alessandro Ciulli fu pagato con sette ducati per la fornitura di uno stipo per riporvi uno scheletro (ivi, p. 37, doc. 71). Secondo quanto riferiscono i documenti di pagamento (ivi, p. 21), Salerno lavorò probabilmente nella proprietà che il Principe possedeva di fronte alla chiesa di Sant’Eframo Nuovo.

Il lavoro svolto da Giuseppe Salerno è da collocare in un quadro più ampio. Egli, infatti, studiò con Giuseppe Mastiani (1715-1756), il quale aveva avuto per maestro Jacques-Bénigne Winslow (1669-1760). Winslow aveva appreso l’arte di preparare i cadaveri in Olanda, dove aveva conosciuto Frederik Ruysch (1638-1731), famoso per le sue mummie, realizzate con la tecnica dell’iniezione. In generale, il Settecento è stato l’età d’oro per la ceroplastica anatomica. Il corpo doveva essere studiato e, a causa della difficoltà nel reperire i cadaveri, veniva riprodotto, con l’utilizzo della cera, come una macchina meravigliosa da indagare. Celebri le scuole di Bologna, con Ercole Lelli (1702-1766), Anna Morandi (1714-1774) e Giovanni Manzolini (1700-1774); di Firenze, con Felice Fontana (1730-1805) e Clemente Michelangelo Susini (1754-1814), ricordato per le Veneri anatomiche (de Ceglia 2005); di Ferrara, con i preparati in cera per le esercitazioni ostetriche; di Pavia e di Milano; fino ad arrivare alla tradizione della scuola ceroplastica siciliana, in cui rientra anche Salerno. Questa scuola ha inizio con Giovanni e Jacopo Matinati alla fine del XV secolo, seguiti da un lungo elenco di artisti per tutto il XVI, XVII e XVIII secolo, arrivando a Gaetano Giulio Zumbo (1656-1701), le cui cere sono conservate al Museo di Storia Naturale La Specola dell’Università di Firenze (cfr. Gerbino 2013, pp. 6-29, 223-228). Contemporaneo di Salerno è stato Paolo Graffeo, di cui ricordiamo le statue osteografiche, andate purtroppo perdute.

Le Macchine anatomiche di Salerno mostrano una complessa e delicata rete di arterie, vene e capillari di diverso spessore, colore e lunghezza. Nel 2007 Lucia Dacome e Renata Peters hanno dimostrato che il sistema circolatorio delle Macchine anatomiche è costituito da fili di ferro e da un tipo speciale di cera. Le ossa sono tenute insieme da perni, chiodi e fili metallici. Entrambe le figure contengono la maggior parte delle ossa presenti nel corpo umano, ma molte non sono nella giusta posizione. I teschi sono stati segati e cerniere su entrambi i lati consentono di poterli aprire e vedere all’interno, dove è presente una complessa rete di vasi sanguigni. L’aspetto dell’utero suggerisce che la donna potrebbe essere morta durante o dopo il parto; e in uno studio coordinato nel 2013 da Matteo Della Monica si è appurato che i modelli contengono diverse anomalie cardiovascolari, dovute probabilmente a una conoscenza incompleta del sistema anatomico.

Le Macchine, che non a caso erano state poste nella sala della Fenice, uccello legato al mito della resurrezione, rappresentano l’immobilità perenne della morte. A quel tempo, d’altronde, discutendo sulla fine della vita, si cercava di comprendere se essa fosse «un processo di disaggregazione della macchina corporea» (Donato 2014, p. 205), come suggerito dal meccanicismo, o una «perdita di un’essenza materiale e principio immateriale che è la vita/anima», come ritenuto nel vitalismo (ivi, p. 207). Di Sangro, studioso eclettico, attraverso le sue invenzioni e le sue ricerche, come quelle sulla palingenesi, e le opere presenti nella Cappella, affronta i temi della morte e della resurrezione. Inserendosi in questo grande e complesso dibattito, egli forse provò a sua volta a capire – finanche tramite lo studio delle Macchine anatomiche – se la morte fosse un processo o un evento istantaneo; e se quindi fosse possibile rianimare o far rinascere la macchina del corpo umano: proprio come una fenice.

Bibliografia essenziale sull’opera

De Gregorio e Russo Giuseppe, Epistola de notatu dignis Regalis Panh. Medicorum Academia, in Opuscoli di autori siciliani, VII, Palermo, per Pietro Bentivenga, 1762, pp. XIII-XVIII, 237-250, in particolare pp. XVI, 246.

Breve nota di quel che si vede in casa del principe di Sansevero don Raimondo di Sangro nella città di Napoli, [Napoli] 1769, pp. 21-24.

Inventario de’ beni rimasti nell’eredità del fu eccellentissimo don Raimondo di Sangro principe di Sansevero, Napoli, notaio Francesco de Maggio, 1771, copia del documento disponibile presso l’Archivio Storico del Pio Monte della Misericordia di Napoli, fondo d’Aquino di Caramanico, segnatura provvisoria A.162, c. 60r.

Sasso Camillo Napoleone, Napoli monumentale ossia storia dei monumenti di Napoli…, Napoli 1856, pp. 195-200, in particolare p. 200.

Colonna di Stigliano Fabio, La Cappella Sansevero e D. Raimondo di Sangro, in «Napoli nobilissima», IV, 1895, 8, pp. 116-121, in particolare p. 121.

Fantoni Donato Andrea, Diario di viaggio e lettere. 1766-1770, a cura di Anna Maria Pedrocchi, Bergamo 1977, p. 51.

Dacome Lucia, Peters Renata, Fabricating the body: The anatomical machines of the Prince of Sansevero, in Objects Specialty Group post-prints, XIV, a cura di Virginia Greene, Patricia Griffin e Christine Del Re, Washington 2007, pp. 161-177.

Nappi Eduardo, Dai numeri la verità. Nuovi documenti sulla famiglia, i palazzi e la Cappella dei Sansevero, Napoli 2010, pp. 36-37, docc. 68-71.

Attanasio Sergio, In casa del principe di Sansevero. Architettura, invenzioni, inventari, Napoli 2011, pp. 61-62, 95-96.

Della Monica Matteo et al., Science, Art, and Mistery in the Statues and in the Anatomical Machines of the Prince of Sansevero: The Masterpieces of the «Sansevero Chapel», in «American Journal of Medical Genetics», 161 A (11), 2013, pp. 2920-2929.

de Ceglia Francesco Paolo, The Fantastic Anatomy of Raimondo de Sangro, Prince of Sansevero, in «Medicina nei secoli», XXXII, 2020, 2, pp. 657-678.

Raimondo di Sangro. Cronaca di vita e opere, a cura di Fabrizio Masucci e Leen Spruit, Napoli 2020, pp. 201-203, 239, 241-242.

Papa Veronica, Esposito Carla, Galassi Francesco M., Varotto Elena, Le Macchine anatomiche della Cappella Sansevero: considerazioni storiche e paleopatologiche, in «Acta Palaeomedica. International Journal of Palaeomedicine», 2021, n. 1, pp. 29-37.

Del Pizzo Silvio, Di Ciaccio Fabiana, Gaglione Salvatore, Galassi Francesco M., Papa Veronica, Varotto Elena, The 3D Reconstruction of the Sansevero Chapel Anatomical Machines: a Geomatic Challenge, in «The International Archives of the Photogrammetry, Remote Sensing and Spatian Information Sciences», XLVIII-2/W4-2024, pp. 173-179.

Bibliografia di confronto

Pitrè Giuseppe, Della vita e delle opere di Giovanni Gorgone, Palermo 1868, pp. 7, 53, 59.

Gregorio Tolosa da Napoli, Insediamenti cappuccini in Napoli e Terra di Lavoro nel ’500…, a cura di Pietro Zarrella, Napoli 1999, p. 103.

de Ceglia Francesco Paolo, Sventrare Venere e scorticare Marsia. Corpo femminile e corpo maschile nelle cere anatomiche della Specola fiorentina, in La stella nova. Atti del III convengo annuale sulla Comunicazione della Scienza, a cura di Nico Pitrelli e Giancarlo Sturloni, Milano 2005, pp. 69-76.

Macci Fazio, Museo Cappella Sansevero, Napoli 2006, p. 27.

De Renzi Silvia, Medical competence, anatomy, and the polity in seventeenth-century Rome, in «Renaissence Studies», XXI, 2007, 4, pp. 551-567.

Piedimonte Antonio Emanuele, Raimondo di Sangro principe di Sansevero. La vita, le invenzioni, le opere, i libri, le leggende, i misteri, la Cappella, Napoli 2012, p. 43.

Gerbino Filippo Maria, Civiltà plastica tra arte e manufatto. La Ceroplastica in Sicilia tra ’700 e ’800, tesi di dottorato, Università degli Studi di Palermo, Dottorato di ricerca in Storia dell’arte medievale, moderna e contemporanea in Sicilia, XXIV ciclo, a.a. 2012-2013, in particolare pp. 6-29, 223-228, in rete: www.iris.unipa.it.

Donato Maria Pia, La morte repentina, tra dubbi diagnostici e speranze di rianimazione (secc. XVII-XVIII), in Storia della definizione di morte, a cura di Francesco Paolo de Ceglia, Milano 2014, pp. 199-214.

Bresadola Marco, Capitani Silvano, La ceroplastica anatomica del Settecento. Racconto di una mostra, in «I castelli di Yale online», V, 2017, 2, pp. 399-407, in rete: www.cyonline.unife.it.

di Sangro Raimondo, La materia del fuoco. Lettere a Giraldi e Nollet, Dissertation, introduzione, note e appendice a cura di Leen Spruit, Napoli 2018, in particolare p. 32.

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