Autore della scheda: Gianluca Forgione
Il Disinganno rappresenta l’opera più celebre che Francesco Maria Queirolo realizzò durante il lungo periodo trascorso a servizio di Raimondo di Sangro in qualità di soprintendente della Cappella Sansevero. Lo scultore genovese assunse infatti tale incarico nel 1752 alla morte del predecessore Antonio Corradini, e lo ricoprì fino al suo burrascoso licenziamento avvenuto alla fine del 1759 (cfr. Chartulae desangriane 2006, pp. 67-97). Il Principe dedicò il sepolcro allegorico al padre Antonio (1683-1757), la cui esistenza era stata segnata da crimini e dissolutezze sino alla conversione religiosa, culminata nei voti sacerdotali che il Duca di Torremaggiore pronunciò nel 1725 (Fabrizio Masucci, Leen Spruit, in Raimondo di Sangro 2020, p. 22). Il gruppo rispecchia ancor oggi la collocazione significativa che era stata pensata dal committente: a ridosso dell’altare maggiore e in posizione speculare rispetto alla Pudicizia (1752), il monumento che Raimondo affidò a Corradini e destinò alla madre Cecilia Gaetani, morta prematuramente nel 1710 (cfr. la scheda 6).
Il contratto che Di Sangro e Queirolo stipularono nel novembre del 1752 prevedeva un compenso mensile di cento ducati per l’intera attività prestata dallo scultore. Per questo motivo non disponiamo di polizze di pagamento specifiche per il Disinganno, che consentirebbero di datarne con esattezza l’esecuzione. La commissione del monumento dovette in ogni caso essere tra i primi pensieri di Raimondo non appena Queirolo venne assunto, dal momento che già nel 1754 Origlia Paolino fu in grado di fornirne un’accurata descrizione (pp. 366-367). Questi definisce la scultura «tutta d’invenzione del Principe, e nel suo genere totalmente nuova»; individua nel protagonista un autoritratto di Queirolo; s’entusiasma per la «stupenda delicatezza» del «sacco» che lo imbriglia, finemente «intessuto a rete di cordelle annodate»; riconosce nello «sveltissimo giovinetto» con la corona e la fiammella sul capo l’«Umano Intelletto, il quale con una mano l’ajuta a disvilupparsi e coll’altra, in cui tiene un scettro, gli addita questo basso mondo, ch’è stato per l’innanzi il suo ingannatore»; e, infine, segnala tra i «libri chiusi» ai piedi delle due figure «la Sacra Bibbia aperta, ove si leggono alcune sue sentenze alludenti al soggetto».
Anche la Breve nota di quel che si vede in casa del principe di Sansevero don Raimondo di Sangro nella città di Napoli, riedita per la terza volta nel 1769 (pp. 8-9; cfr. Attanasio 2011, p. 58), riconosce nella scultura «il capo d’opera del Queirolo», specialmente per l’«estrema diligenza» della rete, «quasi tutta lavorata in aria, cioè senza che tocchi la figura che v’è dentro». L’inventario dei beni rimasti nell’eredità del Principe, stilato nel 1771, oltre a ribadire la lettura iconografica proposta da Origlia Paolino, fa riferimento al ritratto di Antonio di Sangro, il quale, coerentemente con la tipologia adottata negli altri sepolcri allegorici, figura nell’ovato dell’«obelisco» che sormonta il «piedistallo» marmoreo (Inventario 1771, cc. 74v-76v; cfr. Attanasio 2011, pp. 133-134). In questi stessi anni, nella biografia dedicata a Queirolo il genovese Carlo Giuseppe Ratti (1769, pp. 308-309) elogia ugualmente la «sottigliezza e diligenza» con cui è stata eseguita la rete che imprigiona l’uomo, a testimonianza di come la fama del Disinganno avesse ormai varcato i confini partenopei e raggiunto la patria del suo autore.
Per alludere alla conversione morale e religiosa dello sciagurato padre Antonio il Principe trasse spunto da due diverse iconografie illustrate nella prima edizione dell’Iconologia di Cesare Ripa (1593, pp. 134, 141-142): l’«Inganno» gli offrì il motivo della figura intrappolata nella virtuosistica rete di pescatore, mentre l’«Intelletto» rivive nel giovane alato che lo aiuta e gli indica il mondo «ingannatore». Nondimeno, nell’edizione settecentesca del repertorio di Ripa (1764-1767, I-V), dedicata a Raimondo di Sangro, suo finanziatore, con una lunga epistola encomiastica (I, 1764, pp. III-VIII), Cesare Orlandi incluse per la prima volta la descrizione del «Disinganno» (II, 1765, pp. 234-240). Per l’abate perugino l’uomo disingannato è riuscito a squarciare il velo dai suoi occhi e, grazie all’intelletto, ha riconosciuto che «tutte le apparenze del mondo sono fallaci», e che il mondo stesso è per noi solo «un luogo di pellegrinaggio, nel quale tra i sudori e fra i travagli purificar dobbiamo le opere nostre, che rendanci cari agli di Lui, che è il solo dator di ogni bene» (ivi, p. 234; cfr. Forgione 2022, pp. 47-54).
Nel basamento del gruppo allegorico Sansevero richiese la raffigurazione di Cristo che guarisce il cieco nato, un rilievo attribuito da Rosanna Cioffi (1994, pp. 48-54) a Giuseppe Sanmartino (1720-1793). L’inventario della biblioteca di Raimondo e la sua produzione letteraria rivelano ch’egli nutrì un interesse speciale per l’esegesi delle Sacre Scritture. Nella Lettera apologetica, che reca nel frontespizio la data 1750 ma che fu effettivamente pubblicata l’anno successivo, il Principe si servì del maggiore esegeta biblico nella storia della Compagnia di Gesù, il fiammingo Cornelio a Lapide (Cornelis Cornelissen van den Steen, 1567-1637), i cui Commentarii erano stati senza dubbio alla base del sapere storico-religioso che Raimondo apprese al Seminario Romano in occasione del suo soggiorno di formazione presso i gesuiti (1720-1730). In continuità con la tradizione patristica, nell’episodio raccontato da Giovanni (9, 1-41) Cornelio legge la superbia del peccato originale, rappresentata dalla cecità congenita dell’umanità e redenta dall’umiltà della saliva e del fango con cui Cristo restituisce la vista al cieco nato (Lapide 1639, pp. 389-398). Il rimando al battesimo che lava la colpa primigenia si fa ancor più esplicito nell’invito che il Salvatore rivolge all’uomo: «va’ a lavarti nella piscina di Siloe». Nella scelta dell’iconografia del rilievo Raimondo volle dunque alludere all’esperienza di vita del padre Antonio, consumata nelle passioni mondane e provvidenzialmente illuminata dall’incontro col Signore: «ut qui non vident videant» (Forgione 2022, pp. 47-54).
Bibliografia essenziale sull’opera
Origlia Paolino Giangiuseppe, Istoria dello Studio di Napoli…, II, Napoli, Giovanni di Simone, 1754, pp. 366-367.
Breve nota di quel che si vede in casa del principe di Sansevero don Raimondo di Sangro nella città di Napoli, [Napoli] 1769, pp. 8-9.
Inventario de’ beni rimasti nell’eredità del fu eccellentissimo don Raimondo di Sangro principe di Sansevero, Napoli, notaio Francesco de Maggio, 1771, copia del documento disponibile presso l’Archivio Storico del Pio Monte della Misericordia di Napoli, fondo d’Aquino di Caramanico, segnatura provvisoria A.162, cc. 73r-74v.
Ratti Carlo Giuseppe, Delle vite de’ pittori, scultori ed architetti genovesi. Tomo secondo… in continuazione dell’opera di Raffaello Soprani, Genova, nella stamperia Casamara dalle cinque lampade, 1769, pp. 308-309.
Picone Marina, La Cappella Sansevero, Napoli 1959, pp. 92-95.
de Sangro Oderisio, Raimondo de Sangro e la Cappella Sansevero, Roma 1991, pp. 165-170, n. 7.
Cioffi Rosanna, La Cappella Sansevero. Arte barocca e ideologia massonica, prima edizione: Salerno 1987; edizione citata: Salerno 1994, pp. 37-39, 48-54, 110-111.
Deckers Regina, Die Testa velata in der Barockplastik. Zur Bedeutung von Schleier und Verhüllung zwischen Trauer, Allegorie und Sinnlichkeit, München 2010, pp. 257-313, in particolare pp. 282-284.
Nappi Eduardo, Dai numeri la verità. Nuovi documenti sulla famiglia, i palazzi e la Cappella dei Sansevero, Napoli 2010, pp. 101-102.
Attanasio Sergio, In casa del Principe di Sansevero. Architettura, invenzioni, inventari, Napoli 2011, pp. 58, 77, 80-81, 133-134.
Napoli, la Cappella Sansevero e il Cristo velato. Naples, Sansevero Chapel and the Veiled Christ, testi di Marco Bussagli, fotografie di Carlo Vannini, Bologna 2019, pp. 16-17, 110-113, 216-217, 224-225.
Raimondo di Sangro. Cronaca di vita e opere, a cura di Fabrizio Masucci e Leen Spruit, Napoli 2020, pp. 22, 218-219.
Forgione Gianluca, I simulacri delle cose. La Cappella Sansevero e il barocco romano, Torino 2022, pp. 47-54.
Bibliografia di confronto
Lapide Cornelius a, Commentarius in Evangelium S. Lucae et S. Ioannis…, Antuerpiae, apud Heredes Martini Nutii, 1639, pp. 389-398.
Ripa Cesare, Iconologia overo descrittione dell’imagini universali cavate dall’antichità et da altri luoghi…, Roma, per gli heredi di Giovanni Gigliotti, 1593, pp. 134, 141-142.
Iconologia del cavaliere Cesare Ripa perugino, notabilmente accresciuta d’immagini, di annotazioni e di fatti dall’abate Cesare Orlandi, patrizio di Città della Pieve accademico augusto. A Sua Eccellenza don Raimondo di Sangro…, I-V, Perugia, Piergiovanni Costantini, 1764-1767, I, 1764, pp. III-VIII; e II, 1765, pp. 234-240.
Chartulae desangriane. Il Principe committente, catalogo della mostra a cura di Bruno Crimaldi (Napoli, Museo Cappella Sansevero, 28 marzo 2006), Napoli 2006, pp. 67-97.