Educazione – Monumento funerario di Girolama Caracciolo e di Clarice Carafa di Stigliano, prima e seconda moglie di Paolo di Sangro, secondo principe di Sansevero, Francesco Maria Queirolo

Cat. 20. Educazione – Monumento funerario di Girolama Caracciolo e Clarice Carafa

Artista Francesco Maria Queirolo (Genova, 1704 – Napoli, 1762)
Titolo dell’opera Educazione – Monumento funerario di Girolama Caracciolo e di Clarice Carafa di Stigliano, prima e seconda moglie di Paolo di Sangro, secondo principe di Sansevero
Tecnica rilievo
Materia marmo
Datazione 1753
Dimensioni 500 (a) x 150 (l) x 60 (p) cm
Collocazione Cappella Sansevero, navata

Autore della scheda: Luigi Coiro

Il monumento è dedicato alla memoria di Girolama Caracciolo e di Clarice Carafa di Stigliano, raffigurate di profilo e a tre quarti nel medaglione alla sommità della piramide. Le nobildonne erano state rispettivamente la prima e la seconda moglie di Paolo di Sangro, secondo principe di Sansevero (cfr. la scheda 19), il quale da Girolama, sposata nel 1585, aveva avuto due figli, battezzati coi nomi del padre Giovan Francesco e del fratello Alessandro, mentre da Clarice il promettente quanto sfortunato Ferdinando (cfr. Colapietra 1986a, p. 64, e scheda 18).

Le virtù delle due principesse – solo la Caracciolo diretta progenitrice di Raimondo, in quanto madre del terzo principe di Sansevero, Giovan Francesco – sono condensate nel gruppo scultoreo dell’Educazione, che rappresenta, in sintonia con l’Iconologia di Cesare Ripa (1765, pp. 287-288), una «donna di età matura» sedente e con l’ubertoso petto nudo per «mostrare apertamente la candidezza dell’animo suo», intenta a insegnare «a leggere ad un fanciullo», tenendo «colla destra mano la verga, perché la verga, e la correzione, cagiona in noi la Sapienza». Nella scultura il flagello, non più presente, era però impugnato dalla mano sinistra della figura muliebre, come appare in un’incisione di Franz Wenzel databile poco prima della metà dell’Ottocento (tav. X; cfr. de Sangro 1991, p. 202); può darsi che altre porzioni della scultura, compreso l’indice destro della donna e indice e pollice destri del giovinetto, siano stati danneggiati nel 1889 in occasione del crollo della controfacciata della chiesa (Colonna di Stigliano 1895b, pp. 33-34).

L’opera era certamente compiuta nel 1754, quando viene ricordata da Origlia (p. 365), e plausibilmente già entro l’anno precedente, poiché l’iscrizione sul basamento termina con la data 1753. L’attribuzione al Queirolo, il quale probabilmente anche in questo caso si basò su uno dei «trenta sei modelli originali di creta cotta» lasciati da Antonio Corradini alla sua morte (1752) e di cui riferisce Origlia (cfr. Picone 1959, p. 37; Cogo 1996, p. 129), viene confermata dalla biografia di Carlo Giuseppe Ratti (1769, p. 308), ed è registrata a stretto giro anche dalle fonti periegetiche napoletane («opera del celebre scarpello del cavalier Francesco Queiroli genovese»: Sarnelli 1772, p. 127).

Marina Picone (1959, pp. 105-106), pur ‘salvando’ alcuni «particolari ispirati e vibranti, come il libro aperto in mano al fanciullo» (un volume del De Officiis, scritto da Cicerone in forma di lettera al figlio Marco), dal generale «senso di sciatteria» ravvisato soprattutto nel gioco delle pieghe e nel volto della donna, risolto convenzionalmente, riteneva comunque «violenti e ingiustificati» i giudizi di Leopoldo Cicognara (1818, p. 96), che elevava l’opera ad apice del «barbaro gusto delle arti nei più corrotti tempi». Il conte ferrarese sarebbe stato poi rinterzato da Fabio Colonna di Stigliano (1895a, p. 119), il quale considerava l’intero lavoro – più di recente, e non meno severamente, bollato da Oderisio de Sangro (1991, p. 204) come «il più amorfo» fra quelli eseguiti dal Queirolo per la cappella Sansevero» – «meschino e di pessimo gusto».

Neanche Raimondo di Sangro, in effetti, restò pienamente soddisfatto del risultato, tant’è che nel suo Testamento (1770, cc. 45r-46r; cfr. Chartulae desangriane, p. 107) eccettuava dalla «proibizione» di intervento sulle opere presenti in chiesa, oltre al dipinto della volta di cui raccomandava il rifacimento, proprio l’Educazione e i tre mausolei del Decoro, della Soavità del giogo coniugale e del Dominio di sé stessi (cfr. le schede 14, 8 e 22).

All’insoddisfazione del Principe, che per quest’opera «si auspicava forse un esito più adeguato all’eccellenza della Pudicizia, che nella simbologia […] le fa da significativo e imprescindibile partner», essendo l’Educazione «l’altra faccia della maternità, quella svelata» (Colapietra 1986a, p. 74; Idem 1986b, p. 152, nota 90), non si può escludere avesse contribuito la poco felice riuscita del giovane discente, non perfettamente proporzionato, e che, sempre secondo Raffaele Colapietra (1986a, p. 74), poteva rappresentare tanto lo stesso Raimondo quanto lo sfortunato Ferrante, «suo remoto predecessore ed interlocutore imprescindibile».

Tuttavia, la caustica messa all’indice di Cicognara (1818, p. 96), pur denigrando abbigliamento e atteggiamenti del fanciullo «vestito all’eroica (in quel modo che gli attori apparivano sulla scena cinquant’anni fa)», è particolarmente arguta. La notazione critica, per quanto di segno negativo, coglie incidentalmente l’aspetto teatrale della rappresentazione, senz’altro non casuale e anzi pienamente nelle corde di Raimondo, cui i padri della Compagnia di Gesù, presso i quali si era educato a Roma, trasmisero tra l’altro la passione per il teatro: alla pratica attoriale la Ratio Studiorum (1599) aveva infatti attribuito un ruolo centrale nella pedagogia gesuitica, tant’è che nei laboratori teatrali ogni «allievo del Collegio era addestrato a diventare non soltanto un oratore virtuoso in grado di recitare i classici e le tragedie religiose, ma un cittadino cristiano esemplare, che nel dominio del corpo, della voce e della memoria realizzava il suo pieno equilibrio morale e intellettuale» (Forgione 2022, pp. 5-6).

Sormontato da una base di colonna (Inventario 1771, cc. 94v-96r; cfr. Attanasio 2011, pp. 140-141) – probabile simbolo della cultura classica su cui solamente può issarsi ogni moderno progresso – che funge da sedile per la materna ma severa docente, è un blocco ben squadrato di marmo recante il motto latino «EDUCATIO ET DISCIPLINA MORES FACIUNT» (Ripa 1765, pp. 287-288; cfr. Panfili 2015), variazione del più stringato «educatio mores facit» attribuito, erroneamente, a Seneca (Ferrari 2021, p. 101, nota 42; cfr. Idem 2000, pp. 199-200).

Bibliografia essenziale sull’opera

Origlia Paolino Giangiuseppe, Istoria dello Studio di Napoli…, II, Napoli, Giovanni di Simone, 1754, p. 365.

Ratti Carlo Giuseppe, Delle vite de’ pittori, scultori ed architetti genovesi. Tomo secondo… in continuazione dell’opera di Raffaello Soprani, Genova, nella stamperia Casamara dalle cinque lampade, 1769, p. 308.

Testamento di Raimondo di Sangro, Napoli, notaio Francesco de Maggio, 1770, copia del documento disponibile presso l’Archivio Storico del Pio Monte della Misericordia di Napoli, fondo d’Aquino di Caramanico, segnatura provvisoria A.160, cc. 45r-46r.

Inventario de’ beni rimasti nell’eredità del fu eccellentissimo don Raimondo di Sangro principe di Sansevero, Napoli, notaio Francesco de Maggio, 1771, copia del documento disponibile presso l’Archivio Storico del Pio Monte della Misericordia di Napoli, fondo d’Aquino di Caramanico, segnatura provvisoria A.162, cc. 94v-96r.

Sarnelli Pompeo, Nuova guida de’ forestieri…, Napoli, Saverio Rossi, 1772, p. 127.

Cicognara Leopoldo, Storia della scultura dal suo risorgimento in Italia sino al secolo XIX…, III, Venezia 1818, p. 96.

Wenzel Franz, tav. X raffigurante «L’Educazione» e appartenente a un gruppo di 32 litografie con le sculture della Cappella Sansevero di Napoli disegnate da autori vari e incise da Wenzel nel 1839 circa: la copia rintracciata (mancante di sei litografie) si trova presso la Biblioteca Nazionale di Napoli, collocazione PALATINA Banc. 03.

Colonna di Stigliano Fabio, La cappella Sansevero e D. Raimondo di Sangro, in «Napoli nobilissima», IV, 1895a, 8, pp. 116-121, in particolare p. 119.

Picone Marina, La Cappella Sansevero, Napoli 1959, pp. 105-106.

Colapietra Raffaele, Raimondo di Sangro e il Templum sepulcrale della Cappella Sansevero (I), in «Napoli nobilissima», s. III, XXV, 1986a, pp. 62-79, in particolare pp. 64, 74, 75.

Colapietra Raffaele, Raimondo di Sangro e il Templum sepulcrale della Cappella Sansevero (II), in «Napoli nobilissima», s. III, XXV, 1986b, pp. 142-154, in particolare pp. 142, 152.

Coletti Alessandro, Il principe di Sansevero, Novara 1988, p. 200.

de Sangro Oderisio, Raimondo de Sangro e la Cappella Sansevero, Roma 1991, pp. 202-204.

Cioffi Rosanna, La Cappella Sansevero. Arte barocca e ideologia massonica, prima edizione: Salerno 1987; edizione citata: Salerno 1994, p. 40, fig. 35.

Chartulae desangriane. Il Principe committente, catalogo della mostra a cura di Bruno Crimaldi (Napoli, Museo Cappella Sansevero, 28 marzo 2006), Napoli 2006, p. 107.

Nappi Eduardo, Dai numeri la verità. Nuovi documenti sulla famiglia, i palazzi e la Cappella dei Sansevero, Napoli 2010, p. 102.

Attanasio Sergio, In casa del Principe di Sansevero. Architettura, invenzioni, inventari, Napoli 2011, pp. 44, 46, 78, 140-141.

Panfili Veronica, L’iconologia nelle statue della Cappella Sansevero a Napoli, in «BTA – Bollettino Telematico dell’Arte», 2015, n. 789, solo in rete: www.bta.it.

Ferrari Monica, La fortuna pedagogica del De liberis educandis tra Umanesimo ed Età moderna, in «Civitas educationis. Education, Politics, and Culture», X, 2021, 1, pp. 87-108, in particolare p. 101, nota 42.

Picone Marina, La Cappella Sansevero, Napoli 1959, p. 37.

Bibliografia di confronto

Iconologia del cavaliere Cesare Ripa perugino, notabilmente accresciuta d’immagini, di annotazioni e di fatti dall’abate Cesare Orlandi, patrizio di Città della Pieve accademico augusto. A Sua Eccellenza don Raimondo di Sangro…, I-V, Perugia, Piergiovanni Costantini, 1764-1767, II, 1765, pp. 287-288.

Colonna di Stigliano Fabio, La cappella Sansevero e D. Raimondo di Sangro, in «Napoli nobilissima», IV, 1895b, 3, pp. 33-36, in particolare pp. 33-34.

Cogo Bruno, Antonio Corradini scultore veneziano. 1688-1752, Este 1996, p. 129.

Ferrari Monica, «Per non manchare in tuto del debito mio». L’educazione dei bambini Sforza nel Quattrocento, Milano 2000, in particolare pp. 199-200.

Forgione Gianluca, I simulacri delle cose. La Cappella Sansevero e il barocco romano, Torino 2022, pp. 5-6.

Educazione – Monumento funerario di Girolama Caracciolo e di Clarice Carafa di Stigliano, prima e seconda moglie di Paolo di Sangro, secondo principe di Sansevero, Francesco Maria Queirolo