Autore della scheda: Sabrina Iorio
Il sepolcro di Paolo di Sangro, secondo principe di Sansevero, è il più antico dei monumenti funebri presenti nella chiesa di Santa Maria della Pietà. Tuttavia la paternità dell’opera e la sua cronologia sono rimaste, per lungo tempo, un argomento molto dibattuto. È possibile adesso attribuire l’opera per via documentaria allo scultore fiorentino Michelangelo Naccherino, che l’avrebbe eseguita tra il 1609 e il 1615; inoltre, diversamente da come si presenta oggi, con il Principe in posa stante al centro di un paramento architettonico, in origine il monumento si articolava attraverso ben tre statue a grandezza naturale: oltre all’effige principesca, due figure allegoriche, una maschile e una femminile. La notizia si desume da due diversi documenti, o meglio, dalla relazione tra due fonti note, ma sempre trattate distintamente tra loro, quali sono una polizza dell’Archivio Storico del Banco di Napoli (Nappi 1975, pp. 123-124; Idem 2010, pp. 110-111, docc. 318-323) e un disegno a inchiostro e acquarello del Cooper-Hewitt, Smithsonian Design Museum di New York (D’Agostino 2013, pp. 226-232, fig. 1).
L’attuale ubicazione del sepolcro – nel primo arco a destra a partire dall’ingresso – risale ai lavori di rinnovamento della Cappella promossi da Raimondo di Sangro dopo il 1742: nella primitiva chiesa, infatti, esso trovava posto alla sinistra dell’altar maggiore, dove nel 1634 lo descrive la relazione della prima ispezione che la Pietatella ricevé da parte della Diocesi napoletana, retta a quel tempo dall’arcivescovo Francesco Boncompagni (Saggiomo 2021-2022, pp. 505-506). La tomba è quindi citata con la collocazione odierna nell’Inventario dei beni rimasti nell’eredità del fu eccellentissimo Raimondo di Sangro principe di San Severo, che fu steso dal notaio Francesco de Maggio nel 1771 (cc. 96r-99v; cfr. Attanasio 2011, pp. 141-142).
Paolo è raffigurato nelle vesti di un condottiero romano, costituendo un’eccezione tra i ‘ritratti’ dei Di Sangro presenti nel tempio sepolcrale, tutti vestiti con abiti contemporanei e nettamente caratterizzati sia nel costume che nei tratti del volto. La statua è incorniciata da un ricco paramento di pregiatissimi marmi commessi, in cui la resa ad ampie specchiature geometriche bordate di listello bianco aderisce a un gusto dichiaratamente protosecentesco. L’iscrizione commemorativa della tomba, posta da Paolo di Sangro quarto principe di Sansevero (1609-1636) e descritta in primis da Carlo de Lellis nella sua Napoli sacra (1654, p. 141), riporta il 1626 come anno di morte del Principe: elemento che ha condizionato tutta la letteratura critica in merito alla datazione della scultura e, di conseguenza, all’individuazione del suo artefice.
L’attribuzione del monumento dedicato al secondo principe di Sansevero, infatti, non ha mai trovato riscontri univoci, tanto nelle fonti quanto negli studi. Se la periegetica si è quasi sempre limitata a un elogio generico delle tombe più antiche, delle quali ha talvolta riportato le epigrafi, Giangiuseppe Origlia Paolino inaugurò alla metà del Settecento un filone che avrebbe avuto lungo seguito nella letteratura successiva, assegnando i quattro sepolcri secenteschi a Giovanni Merliano da Nola (circa 1488-1588), a Cosimo Fanzago (1591-1678) e ad altri «celebri scultori di que’ tempi» (Origlia Paolino 1754, pp. 364-365; Breve nota 1766, p. 6, per cui cfr. pure Attanasio 2011, pp. 57-58; Galanti 1792, p. 144). Nel succitato inventario dei beni di Raimondo di Sangro (1771), al netto della descrizione meticolosa dei marmi che corredano il deposito, di certo funzionale a quantificarne il valore, per la statua di Paolo non viene avanzata alcuna attribuzione. L’opera fu poi assegnata dapprima a Giovanni da Nola da Pompeo Sarnelli (1772, p. 126), quindi al Fanzago, ritenuto da Gennaro Aspreno Galante (1872, p. 160) autore di tutti e quattro i «sepolcri […] collocati sotto le quattro arcate dal lato della porta».
Venendo alla fortuna critica moderna, nella sua monografia sulla Cappella Sansevero Marina Picone (1959, p. 14) pone per la prima volta, su base stilistica, la scultura tra le opere «del filone Naccherino-D’Auria», e più recentemente la statua ricompare con l’attribuzione ipotetica al solo Naccherino nello studio sulla scultura della «tarda maniera» di Mario Panarello (2010, pp. 30-32).
Fin qua l’analisi sullo stile. Passando ad un altro tipo di esame, nel suo libro sulla famiglia Di Sangro, e attraverso le carte dell’Archivio Storico del Banco di Napoli, Eduardo Nappi ha invece assegnato il sepolcro alla cerchia dei collaboratori del marmoraio fiorentino Giacomo Lazzari (1574-1640), che risulta il principale destinatario dei pagamenti emessi a nome di Alessandro di Sangro, patriarca di Alessandria, per lavori di marmo non specificati che interessarono la Cappella a partire dal 1627: subito dopo, dunque, la morte di Paolo, episodio, come detto, per il quale è fissata convenzionalmente la realizzazione della tomba (Nappi 2010, pp. 93-95, 113, docc. 343-344). La felice relazione tra il sepolcro del secondo principe di Sansevero e il disegno del museo Cooper-Hewitt si deve invece a Paola D’Agostino (2013, pp. 226-232), la quale attribuisce il foglio all’architetto Bartolomeo Picchiatti (1571-1643), proposto di conseguenza come autore del progetto del monumento sepolcrale, mentre a Giacomo Lazzari, emerso nella disanima documentaria di Nappi, sarebbe spettata la direzione dei lavori. Per l’esecuzione di almeno due delle tre statue presenti nel prospetto grafico (l’effigie del Principe e l’allegoria maschile) la studiosa avanza il nome di Naccherino (cfr. la scheda 18), ma più specificamente la statua di Paolo viene riferita alla cerchia dei collaboratori del maestro toscano, perché al momento della sua esecuzione, fissata sempre a dopo il 1626, Naccherino era già morto da quattro anni.
Alla luce del raro ritrovamento americano – è davvero infrequente, per Napoli, imbattersi in progetti grafici di tombe e cappelle gentilizie – una più attenta lettura dei documenti noti contribuisce a chiarire finalmente la vicenda esecutiva del sepolcro.
Contrariamente a quanto sostenuto finora negli studi, il monumento del secondo principe di Sansevero non è stato eretto dopo la morte di quest’ultimo e per volontà di suo fratello, il patriarca d’Alessandria, ma a commissionarlo fu in prima persona Paolo di Sangro nel 1609 in occasione della prematura scomparsa, a soli dodici anni, del figlio Ferdinando. A provarlo è il pagamento rintracciato da Nappi, secondo il quale il 31 ottobre 1609, tramite il banco di Santa Maria del Popolo, Naccherino ricevé cento ducati «in nome del signor Principe di Sansevero per caparra di uno sepolcro che haverà da fare al detto signore, conforme al disegno fatto da detto Michelangelo, […] quale serve anche per suo figliolo don Ferdinando di Sangro, nella sua cappella della Pietà de Sangro, al quale sepolcro haverà da fare tre statue di marmo, l’una delle quali ha da essere di palmi sette e mezzo in piede, l’altra di sette et la terza di sei e tre quarti» (Nappi 2010, pp. 110-111, doc. 320). Sebbene nella causale di pagamento venga esplicitamente indicata la realizzazione di una tomba per il Principe che potesse servire anche da deposito per le spoglie di suo figlio, il documento è sempre stato messo in relazione a un monumento che il Naccherino avrebbe realizzato ad hoc per la sepoltura di Ferdinando (ivi, p. 93), e che sarebbe andato poi disperso a eccezione dell’epigrafe, ancora presente in chiesa e integrata in una memoria marmorea nel vano di accesso ai sotterranei (cfr. ancora la scheda 18).
Così, il disegno del Cooper-Hewitt accende un faro anche sulla ben nota polizza del 31 ottobre e sul valore, nella sua causale, dell’avverbio «anco», indicativo di un sepolcro unico per il Principe e per suo figlio. Altri sei documenti bancari indirizzati a Naccherino, da sempre messi in relazione al perduto monumento funebre per il fanciullo Ferdinando, possono adesso essere definitivamente ricondotti ai lavori per il sepolcro di Paolo di Sangro suo padre (Nappi 1975, pp. 122-125; Idem 2010, pp. 111-112; Kuhlemann 1999, pp. 298-299; D’Agostino 2013, p. 231).
L’iconografia descritta nella polizza bancaria, con le tre statue in piedi rispettivamente di palmi sette e mezzo, sette e sei e tre quarti, coincide perfettamente con il progetto testimoniato dal foglio newyorkese, il quale può quindi in via definitiva assegnarsi a Naccherino. Il disegno, come anticipato, costituisce un raro documento, probabilmente un allegato al contratto notarile con cui si sanciva l’accordo tra Paolo di Sangro e lo scultore fiorentino per l’esecuzione del sepolcro. La matrice toscana del suo autore si palesa nel gusto calligrafico, con un tratto sottile e vibrante nelle figure e più deciso e lineare negli elementi architettonici. L’uso del colore, che lo impreziosisce ulteriormente – per l’ambiente napoletano non esistono, di fatto, dei confronti –, aveva certamente una funzione pratica, oltre che estetica, cioè quella di assegnare con nettezza a ciascun elemento architettonico o decorativo uno specifico tipo di marmo: pratica che trova riscontro nelle dettagliate descrizioni contenute nei rogiti notarili, ovvero negli accordi stipulati tra le due parti sulle forme e sui materiali da impiegare per l’esecuzione di un monumento. Il Principe vi è raffigurato come uomo d’armi e abbigliato all’antica, ed è affiancato da due soggetti allegorici: un giovinetto ignudo coperto da un drappo, in cui si potrebbe riconoscere un riferimento al piccolo Ferdinando, e una donna in posa mesta, probabilmente un rimando alla madre del fanciullo, Clarice Carafa. Entrambe queste statue furono verosimilmente ‘smontate’ dal sepolcro a distanza di un secolo e mezzo dalla loro realizzazione, durante i lavori di rinnovamento promossi da Raimondo di Sangro. Mentre la figura maschile ha trovato posto nel nuovo programma iconografico dettato dal Principe di Sansevero, integrandosi nel sepolcro di Giovanna di Sangro come allegoria dell’Amor divino, quella femminile, dispersa, è ora identificata da Gianluca Forgione nella «statua antica di marmo, circa palmi sette, rappresentante una Donna che appoggia la faccia in una delle sue mani in atto di mestizia», che Raimondo concesse allo scultore Paolo Persico come parte del compenso per la Soavità del giogo coniugale e per l’Angelo con putto alla destra dell’altar maggiore (per il contratto notarile in cui si fa menzione della statua, stipulato tra Di Sangro e Persico il 28 luglio 1766, cfr. Forgione 2022, pp. 28-30, 64-65, doc. 5).
Tuttavia, la complessa vicenda del sepolcro del secondo principe di Sansevero non si sarebbe del tutto esaurita al tempo del rinnovamento settecentesco della Pietatella. Nella notte tra il 22 e il 23 settembre 1889 l’ala sinistra di Palazzo Sansevero, adiacente alla Cappella, crollò per un’infiltrazione, arrecando pesanti danni specialmente alla controfacciata della chiesa, dove la caduta di un cornicione finì per danneggiare le due acquasantiere ancor oggi allogatevi (Colonna di Stigliano 1895, p. 34). Si può credere che quel crollo abbia forse compromesso in via definitiva anche l’assetto del sepolcro di Paolo di Sangro, e in particolare l’impaginazione del paramento marmoreo: il segno più evidente di questo incidente è rintracciabile nell’assenza delle due colonne ioniche in breccia di Francia, poste ai lati del Principe nel disegno di Naccherino e ancora lì descritte nell’inventario del 1771 (cfr. Attanasio 2011, p. 142). È significativo che, stando al medesimo documento, colonne simili ornassero pure i monumenti di Giovan Francesco e di Paolo di Sangro, rispettivamente primo e quarto principe di Sansevero (cfr. le schede 11 e 13). Se è ipotizzabile che il crollo del 1889 danneggiasse i sepolcri del secondo e/o del quarto principe in virtù della loro prossimità alla controfacciata, è invece più ragionevole credere che nel deposito di Giovan Francesco le colonne siano state eliminate per ragioni di uniformità rispetto alle altre due tombe.
Venendo alle specificità dell’opera, nella statua di Paolo di Sangro lo stile del Naccherino si manifesta nell’«indubbio e un po’ uggioso pietismo di base […] elevato in valori di monumentalità solenne e di vera interiorità» (Nava Cellini 1972, p. 784). Con la sua posa chiastica, e nella sua ubicazione originaria in cornu Epistulae, volgendo il capo verso l’altare Paolo dialogava con l’iconica immagine della Madonna della Pietà da cui il tempio dei Sansevero trasse origine, rendendosi protagonista di un colloquio intriso di devozione tipico dell’arte nata nel clima della Controriforma che tanto condizionò la produzione del Naccherino: si pensi all’affinità d’impostazione e di concezione con il Monumento funebre di Fabrizio Pignatelli dell’Arciconfraternita della Trinità dei Pellegrini, finito proprio nel 1609 (Kuhlemann 1999, pp. 59-60). Allo stesso tempo, il ricco decorativismo nella resa dell’armatura, quasi cesellata come un pezzo d’oreficeria nei dettagli pittoricistici della corazza e dei calzari, rappresentanti mascheroni e girali vegetali, denuncia una matrice ancora profondamente manieristica, pure congeniale agli esiti compositivi dello scultore. Nel modellato morbido dei lineamenti del volto, dai tratti sottili e delicati, e nella foggia arcaica delle vesti l’effigie del Principe è collocata in un tempo indefinito: la convenzionale caratterizzazione ritrattistica della statua del defunto convive qui con la rappresentazione idealizzata di un condottiero antico dove solo i baffi alla guisa spagnolesca sembrano ricondurre Paolo alla sua cronaca terrena. Del resto, l’abitudine di commissionare da vivente il proprio monumento funebre richiedeva degli accorgimenti riguardo ai ritratti, rendendo necessario, da parte dell’artista, lo sforzo di collocare l’effigiato in una dimensione atemporale. E il Naccherino, anche attraverso questo espediente, riuscì magistralmente a dar forma a un uomo vivo pur nell’immutabile celebrazione della sua memoria funebre.
Bibliografia essenziale sull’opera
d’Engenio Caracciolo Cesare, Napoli sacra…, Napoli, Ottavio Beltrano, 1623, pp. 262- 264.
de Lellis Carlo, Parte seconda, overo supplimento a “Napoli sacra” di don Cesare d’Engenio Caracciolo, Napoli 1654, edizione citata: a cura di Luciana Mocciola ed Elisabetta Scirocco, Napoli-Firenze 2007, p. 141, solo in rete: www.memofonte.it.
Origlia Paolino Giangiuseppe, Istoria dello Studio di Napoli…, II, Napoli, Giovanni di Simone, 1754, pp. 364-365.
Sarnelli Pompeo, Nuova guida de’ forestieri…, Napoli, Saverio Rossi, 1772, p. 126.
Breve nota di quel che si vede in casa del principe di Sansevero don Raimondo di Sangro nella città di Napoli, [Napoli] 1766, p. 6.
Inventario de’ beni rimasti nell’eredità del fu eccellentissimo don Raimondo di Sangro principe di Sansevero, Napoli, notaio Francesco de Maggio, 1771, copia del documento disponibile presso l’Archivio Storico del Pio Monte della Misericordia di Napoli, fondo d’Aquino di Caramanico, segnatura provvisoria A.162, cc. 86v, 96r-99v.
Galanti Giuseppe Maria, Breve descrizione della città di Napoli e del suo contorno, Napoli, presso li Socî del Gabinetto Letterario, 1792, p. 144.
Galante Gennaro Aspreno, Guida sacra della città di Napoli, Napoli 1872, p. 160.
Picone Marina, La Cappella Sansevero, Napoli 1959, pp. 14, 106-107.
Nava Cellini Antonia, La scultura dal 1610 al 1656, in Storia di Napoli, V, II, Cava de’ Tirreni 1972, pp. 781-825, in particolare p. 784.
Nappi Eduardo, La famiglia, il palazzo e la cappella dei principi di Sansevero. Dai documenti dell’Archivio Storico del Banco di Napoli, in «Revue Internationale d’Histoire de la Banque», 1975, n. 11, pp. 122-125, docc. 29-33, 49, 51.
de Sangro Oderisio, Raimondo de Sangro e la Cappella Sansevero, Roma 1991, pp. 209-212, n. 22.
Kuhlemann Michael, Michelangelo Naccherino: Skulptur zwischen Florenz und Neapel um 1600, Münster 1999, pp. 224-225.
Nappi Eduardo, Dai numeri la verità. Nuovi documenti sulla famiglia, i palazzi e la Cappella dei Sansevero, Napoli 2010, pp. 93-95, 110-111, docc. 318-323, e p. 113, docc. 343-344.
Panarello Mario, Artisti della tarda maniera nel Viceregno di Napoli. Mastri scultori, marmorari e architetti, Soveria Mannelli 2010, pp. 30-32.
Attanasio Sergio, In casa del Principe di Sansevero. Architettura, invenzioni, inventari, Napoli 2011, pp. 57-58, 138, 141-142.
D’Agostino Paola, The Second Prince of Sansevero’s Tomb: Addenda to a Seventeenth-Century Neapolitan Drawing in the Cooper-Hewitt, National Design Museum, New York, in «West 86th: A Journal of Decorative Arts, Design History, and Material Culture», XX, 2013, 2, pp. 226-232.
Forgione Gianluca, I simulacri delle cose. La Cappella Sansevero e il barocco romano, Torino 2022, pp. 28-30, 64-65, doc. 5.
Saggiomo Mariano, Le chiese gentilizie napoletane di Età Moderna: per la ricostruzione storica di un fenomeno dimenticato, tesi di dottorato in Scienze storiche, archeologiche e storico-artistiche, Università degli Studi di Napoli Federico II, XXXIV ciclo, tutors proff. Francesco Caglioti e Bianca de Divitiis, a.a. 2021-2022, pp. 501-552, in particolare pp. 505-506.
Bibliografia di confronto
Colonna di Stigliano Fabio, La cappella Sansevero e D. Raimondo di Sangro, in «Napoli nobilissima», IV, 1895, 3, pp. 33-36.
Kuhlemann Michael, Michelangelo Naccherino: Skulptur zwischen Florenz und Neapel um 1600, Münster 1999, pp. 59-60.