Autore della scheda: Mariano Saggiomo
Si tratta del monumento-acquasantiera del quinto principe di Sansevero, Giovan Francesco di Sangro, posizionato subito alla destra dell’ingresso principale di Santa Maria della Pietà, à pendant con quello dedicato all’omonimo nonno, addossato, appunto, all’altro lato della controfacciata (cfr. la scheda 15). Anche a uno sguardo meno attento appare evidente che i due lavori non sono ben coordinati tra di loro, essendo l’angelone decisamente più grande della cosiddetta Mestizia. Sembrerebbe, inoltre, che il primo risulti meglio proporzionato se visto da una prospettiva più rialzata dell’attuale, per cui non si può escludere che in origine entrambi i monumenti fossero situati un po’ più in alto.
Come per molti altri personaggi celebrati in Cappella, il prestigio acquisito da Giovan Francesco si deve principalmente alla sua carriera militare, richiamata infatti nell’epigrafe: egli fu fedele alla corona spagnola e finanziò «un esercito di molti cavalieri e di duecento fanti» combattendo a Capua e a Salerno; alla morte di sua moglie, «si arruolò nella milizia ecclesiastica» (la traduzione dell’epigrafe è in Cioffi 1994, p. 153, nota 77).
Tra i gruppi scultorei del tempio gentilizio quello in esame vanta il triste primato di opera più sofferente di perdite e di rimaneggiamenti, e non soltanto perché durante il crollo del 1889 «un pezzo del cornicione staccatosi per la scossa rovinò sulle due pile dell’acqua santa fracassando le statue alate che erano sopra di esse» (Colonna di Stigliano 1895, p. 34). L’inventario dei beni rimasti nell’eredità di Raimondo di Sangro, stilato nel 1771 (c. 102r; cfr. Attanasio 2011, p. 143), registra infatti che la lapide su cui si adagia il «puttino colle ali in atto mesto» «appoggia ad un picciolo piedistallo di marmo bianco su cui è un’urna adornata con un ovato in mezzo, in cui è effigiato di bassorilievo il ritratto» del defunto. Purtroppo tanto l’urna quanto il rilievo sono scomparsi, e ciò dev’essere avvenuto prima del 1889, dal momento che entrambi gli elementi mancano nella litografia di Franz Wenzel (tav. XXVII), stampata verosimilmente nel 1839. Da un attento esame dell’illustrazione si ricava inoltre che la conchiglia per l’acquasanta era più spostata verso il piede destro della figura. In occasione del crollo di fine Ottocento, invece, devono essersi spezzati la fiaccola, oggi ricostruita, e il tronco all’estrema destra, sostituito da un ramo meno esile.
Come se ciò non bastasse, confrontando l’epigrafe odierna con il testo trascritto nel citato inventario si evince sia che l’impaginazione dell’iscrizione più antica era del tutto differente dalla moderna, sia pure che, ricopiandola verosimilmente dopo il disastro del 1889, lo scalpellino compì due errori decisivi, sbagliando la data di morte del Principe – 1618 invece che 1698 – e l’anno in cui Raimondo dettò l’iscrizione, scrivendo 1756 al posto di 1766 (ad accorgersi degli errori, ma non della diversa impaginazione, è stato Colapietra 1986, p. 145, che per primo ha reso noto l’inventario del 1771). Infine, il tondo al di sopra della tabella marmorea, la quale, al pari della gemella dal lato opposto della stessa parete, resta priva di testo e perciò di senso, reca l’effigie di una donna e non, come dovrebbe essere, quella di un uomo. Sulla base di una non meglio specificata litografia ottocentesca, Oderisio de Sangro (1991, pp. 176, 221, 223) vi ha riconosciuto le sembianze della moglie del principe Raimondo, ritenendo che si tratti del medesimo tondo un tempo in cima al gruppo della Sincerità: ipotesi credibile ma non verificabile.
Quanto all’autografia, al netto dell’attribuzione a Francesco Queirolo (1704-1762) avanzata dallo stesso Oderisio de Sangro (1991, pp. 220-223, n. 26), e nonostante la data incisa del 1756, la critica è stata sostanzialmente concorde nel riferire il lavoro a Francesco Celebrano (Picone 1959, p. 108; Fittipaldi 1974, p. 204; Rotili 1979; Fittipaldi 1980, p. 214; Cioffi 1994, p. 19), considerandolo per via stilistica «in diretta dipendenza» dalla pala dell’altare maggiore (Rotili 1979), compiuta dal medesimo artista tra il 1766 e il 1767 (cfr. la scheda 1). L’accostamento, fuor di dubbio pertinente, trova per altro riscontro nella data esatta del 1766, ed è confermata d’altro canto dall’assegnazione allo scultore napoletano proposta dall’inventario del 1771 (c. 102r; cfr. Attanasio 2011, p. 143). In conclusione è almeno curioso notare che malgrado le numerose e puntuali descrizioni della Pietatella redatte lungo tutta l’Età moderna, le uniche due menzioni dell’opera in discorso siano quelle di Stanislao D’Aloe, che nel suo Tesoro lapidario del 1838 (p. 21) si limita a dar conto dell’iscrizione (già nella versione difettosa), e di Gennaro Aspreno Galante, il quale, nel 1872, riteneva che «le due capricciose pile dell’acqua benedetta sono forse lavoro del Celebrano» (p. 161).
Bibliografia essenziale sull’opera
Inventario de’ beni rimasti nell’eredità del fu eccellentissimo don Raimondo di Sangro principe di Sansevero, Napoli, notaio Francesco de Maggio, 1771, copia del documento disponibile presso l’Archivio Storico del Pio Monte della Misericordia di Napoli, fondo d’Aquino di Caramanico, segnatura provvisoria A.162, c. 102r.
D’Aloe Stanislao, Tesoro lapidario napoletano, II, Napoli 1838, p. 21.
Galante Gennaro Aspreno, Guida sacra della città di Napoli, Napoli 1872, p. 161.
Colonna di Stigliano Fabio, La cappella Sansevero e D. Raimondo di Sangro, in «Napoli nobilissima», IV, 1895, 3, pp. 33-36, in particolare p. 34.
Picone Marina, La Cappella Sansevero, Napoli 1959, p. 108.
Fittipaldi Teodoro, Giuseppe Sanmartino (III), in «Arte Cristiana», LXII, 1974, pp. 199-224, in particolare p. 204.
Rotili Mario, Celebrano, Francesco, in Dizionario Biografico degli Italiani, 23, Roma 1979, in rete: <www.treccani.it/biografico>.
Fittipaldi Teodoro, Scultura napoletana del Settecento, Napoli 1980, p. 214.
Colapietra Raffaele, Raimondo di Sangro e il Templum sepulcrale della Cappella Sansevero (II), in «Napoli nobilissima», s. III, XXV, 1986, pp. 142-154, in particolare p. 145.
de Sangro Oderisio, Raimondo de Sangro e la Cappella Sansevero, Roma 1991, pp. 176, 220-223, n. 26.
Cioffi Rosanna, La Cappella Sansevero. Arte barocca e ideologia massonica, prima edizione: Salerno 1987; edizione citata: Salerno 1994, pp. 19, 153, nota 77.
Attanasio Sergio, In casa del principe di Sansevero. Architettura, invenzioni, inventari, Napoli 2011, p. 143.
Napoli, la Cappella Sansevero e il Cristo velato. Naples, Sansevero Chapel and the Veiled Christ, testi di Marco Bussagli, fotografie di Carlo Vannini, Bologna 2019, pp. 39, 46.