Monumento funerario di Cecco di Sangro, Francesco Celebrano

Cat. 16. Monumento funerario di Cecco di Sangro

Artista Francesco Celebrano (Napoli, 1729 – ivi, 1814)
Titolo dell’opera Monumento funerario di Cecco di Sangro
Tecnica rilievo
Materia marmo
Datazione firmato e datato 1766
Dimensioni 340 (a) x 280 (l) x 120 (p) cm
Collocazione Cappella Sansevero, controfacciata

Autore della scheda: Mariano Saggiomo

Pur in un contesto tanto singolare qual è la Cappella Sansevero, questo monumento in ricordo di Cecco di Sangro costituisce un’opera assolutamente bizzarra: forse uno degli «inganni di verità» più teatrali inscenati nella chiesa gentilizia (la citazione, non riferita nello specifico al deposito di Cecco, è di Forgione 2022, p. 51). Interessante per molte ragioni, il gruppo marmoreo è alloggiato sopra la porta maggiore, il cui margine superiore serve da base per gli ippogrifi situati ai lati dell’arca; da essa Cecco fuoriesce con fare assai più goffo che eroico, armato fino ai denti e accompagnato più in alto da un’aquila che afferra con la zampa sinistra dei fulmini simili a frecce. Il fronte del cassone è ammantato da una pelle di leone dov’è incisa la lunga iscrizione che qualifica il personaggio. Se ne evidenziano il valore militare e in special modo il prestigio derivante dal famoso episodio di Amiens, città nel nord della Francia in cui, nel 1597, Cecco si era distinto in qualità di soldato dell’esercito spagnolo di Filippo II durante la conquista di un’importante roccaforte: uno strategico Cavallo di Troia lo vide introdotto tra le fila nemiche – per giunta ferito – proprio all’interno di una cassa, dalla quale uscì appunto sorprendentemente due giorni dopo, conseguendo la vittoria per sé e per i suoi.

Gli studi hanno sottolineato che il monumento è difatti l’unico in Cappella a tendere verso la narrazione di un episodio «che secondo la tradizione accadde realmente» (Cioffi 1994, p. 45). Invero la rocambolesca vicenda di Cecco ha tutta l’aria di essere un racconto dal gusto topico: basti pensare che finanche l’Historia dell’illustrissima famiglia Di Sangro, per natura sbilanciata in direzione dell’esaltazione dinastica del casato, e data alle stampe nel 1615, dunque in un momento tutto sommato vicino agli eventi narrati, celebra l’astuzia del personaggio nei fatti di Amiens senza mai accennare al sotterfugio della cassa (Campanile 1615, pp. 51-53). Ciò non toglie che le sfumature favolose dell’episodio – evidentemente storicizzate ai tempi di Raimondo – si prestassero benissimo all’estrosità del Principe, che volle quindi sfruttarne appieno le potenzialità simboliche. Difatti la curiosità della vicenda può fornire una giustificazione all’inserimento stesso di Cecco nel pantheon di famiglia, dal momento che, se si esclude sant’Oderisio, egli è l’unico esponente maschio a figurarvi pur non essendo un principe né potendo vantare un qualche legame diretto con Raimondo: era semplicemente un nipote del primo principe di Sansevero.

Oltre a questa scelta, a Raimondo dovrebbe spettare in parte anche lo sviluppo iconografico del soggetto, sebbene l’opera, datata 1766, venga firmata a chiare lettere da Francesco Celebrano, il quale, stando all’iscrizione che corre nel bordo tra i due animali fantastici, la inventò e la scolpì. A questo proposito occorre ricordare che nella causa tra Francesco Queirolo (1704-1762) e Raimondo di Sangro, cominciata nell’ottobre del 1759, il Principe rivolle indietro dallo scultore «il modello della porta grande e del deposito che vi va sopra, anche fatto in creta» (Bruno Crimaldi, in Chartulae desangriane 2006, p. 81). Si è molto dibattuto sulla paternità di questi studi preparatori, domandandosi se essa spetti in toto a Queirolo o se, più credibilmente, all’origine di ogni lavoro del genovese, e così di Celebrano dopo di lui, vadano viste delle idee di Antonio Corradini (1688-1752), autore dei ben noti trentasei bozzetti lasciati al Principe prima di morire (la notizia è in Origlia Paolino 1754, p. 365; per il dibattito critico si vedano soprattutto Picone 1959, p. 37; Cioffi 1994, pp. 11-12; e Cogo 1996, pp. 325-330). Quanto all’opera in discussione, motivazioni di stile fanno ritenere probabile che Celebrano fosse influenzato principalmente da Queirolo e poco o nulla da Corradini (Picone 1959, p. 70; Cogo 1996, p. 329), cosa che per Marina Picone (1959, p. 70) peggiorò non poco il risultato finale: se l’idea di Queirolo «dovette essere grande, nella esecuzione del Celebrano irrimediabilmente si perde lo afflato del primitivo bozzetto, e la composizione, da dignitosa e ispirata che doveva essere, appare povera e grossolana» (ibidem).

Oderisio de Sangro (1991, p. 224) sostiene che alcune parti del monumento furono malamente rimontate dopo il crollo tardo-ottocentesco della controfacciata, il che potrebbe forse spiegare le debolezze compositive ricordate poc’anzi. In particolare, a suo dire, «il capo è stato rigirato e gli occhi fissano il vuoto, mentre prima il suo sguardo era concentrato verso il piede sinistro già fuori dalla cassa» (ibidem). Nondimeno, da un raffronto tra lo stato attuale del marmo e un’incisione di Franz Wenzel (1839 circa, tav. VIII) precedente al crollo la modifica non sembra poi così evidente; e i dubbi aumentano se si presta fede a un cronista pressappoco contemporaneo al disastro, secondo il quale «il bel monumento ch’è sulla porta maggiore» restò illeso (Colonna di Stigliano 1895, p. 34). Discorso diverso va fatto invece per la mano che impugna la spada, tuttora ciondolante «essendo stata annodata al polso del braccio destro del guerriero» (de Sangro 1991, p. 224).

Bibliografia essenziale sull’opera

Inventario de’ beni rimasti nell’eredità del fu eccellentissimo don Raimondo di Sangro principe di Sansevero, Napoli, notaio Francesco de Maggio, 1771, copia del documento disponibile presso l’Archivio Storico del Pio Monte della Misericordia di Napoli, fondo d’Aquino di Caramanico, segnatura provvisoria A.162, cc. 103r-105r.

Sarnelli Pompeo, Nuova guida de’ forestieri…, Napoli, Saverio Rossi, 1772, p. 133.

Sigismondo Giuseppe, Descrizione della città di Napoli e suoi borghi, [Napoli,] II, presso i fratelli Terres, 1788, p. 40.

Wenzel Franz, tav. VIII appartenente a un gruppo di 32 litografie con le sculture della Cappella Sansevero di Napoli disegnate da autori vari e incise da Wenzel nel 1839 circa: la copia rintracciata (mancante di sei litografie) si trova presso la Biblioteca Nazionale di Napoli, collocazione PALATINA Banc. 03.

Colonna di Stigliano Fabio, La Cappella Sansevero e D. Raimondo di Sangro, in «Napoli nobilissima», IV, 1895, 3, pp. 33-36, in particolare p. 34.

Picone Marina, La Cappella Sansevero, Napoli 1959, pp. 51, 69-70.

de Sangro Oderisio, Raimondo de Sangro e la Cappella Sansevero, Roma 1991, pp. 224-226, n. 27.

Cioffi Rosanna, La Cappella Sansevero. Arte barocca e ideologia massonica, prima edizione: Salerno 1987; edizione citata: Salerno 1994, p. 45.

Cogo Bruno, Antonio Corradini scultore veneziano. 1688-1752, Este 1996, p. 329, sezione del n. 51.

Chartulae desangriane. Il principe committente, catalogo della mostra a cura di Bruno Crimaldi (Napoli, Museo Cappella Sansevero, 28 marzo 2006), Napoli 2006, p. 81.

Attanasio Sergio, In casa del Principe di Sansevero. Architettura, invenzioni, inventari, Napoli 2011, pp. 143-144.

Napoli, la Cappella Sansevero e il Cristo velato. Naples, Sansevero Chapel and the Veiled Christ, testi di Marco Bussagli, fotografie di Carlo Vannini, Bologna 2019, pp. 33-37, 39, 40-41, 44-45.

Bibliografia di confronto

Campanile Filiberto, L’historia dell’illustrissima famiglia Di Sangro, Napoli, nella stamperia di Tarquinio Longo, 1615, pp. 51-53.

Origlia Paolino Giangiuseppe, Istoria dello Studio di Napoli…, II, Napoli, Giovanni di Simone, 1754, p. 365.

Picone Marina, La Cappella Sansevero, Napoli 1959, p. 37.

Cioffi Rosanna, La Cappella Sansevero. Arte barocca e ideologia massonica, prima edizione: Salerno 1987; edizione citata: Salerno 1994, pp. 11-12.

Cogo Bruno, Antonio Corradini scultore veneziano. 1688-1752, Este 1996, pp. 325-330, n. 51.

Forgione Gianluca, I simulacri delle cose. La Cappella Sansevero e il barocco romano, Torino 2022, in particolare p. 51.

Monumento funerario di Cecco di Sangro, Francesco Celebrano