Autore della scheda: Mariano Saggiomo
Fatta salva l’attribuzione a Francesco Queirolo (1704-1762) proposta nell’edizione del 1772 della guida di Pompeo Sarnelli (p. 133), le fonti concordano nell’assegnare il Decoro ad Antonio Corradini (si vedano almeno Origlia Paolino 1754, p. 365; Sigismondo 1788, pp. 37-38; Galante 1872, p. 161), e ciò nonostante che la data del 1755 incisa nell’epigrafe sia successiva di tre anni alla morte dell’artista veneziano. L’autografia, o comunque l’ideazione del soggetto, è difatti confermata dal medesimo schema compositivo adottato dallo scultore nella Pudicizia qui in Cappella e prim’ancora nella Vestale di Palazzo Barberini eseguita a Roma nel 1743 (cfr. Riccoboni 1952, pp. 155-156; Cogo 1996, pp. 296-301, n. 40; per confronti con opere austriache potenzialmente osservate dall’artista si veda Cioffi 1994, p. 29). Tuttavia la Picone (1959, p. 72) ha notato nel Decoro «uno scompenso, un calo stilistico […], come se si trattasse di un’opera compiuta su quel modello da parte di un imitatore che ha riportata con assoluta fedeltà i fatti esterni della composizione senza penetrarne lo spirito e la sensibilità»; dubbi che l’autrice estende, ma questa volta in senso contrario, ai ritratti di Isabella Tolfa e di Laudomia Milano inseriti nel tondo alla sommità della statua, ipotizzando che possano forse spettare al Queirolo poiché «si distinguono per maggiore altezza di canto» rispetto ad altri presenti in chiesa (ivi, p. 68).
Dedicato dunque alla prima e alla seconda moglie di Giovan Francesco di Sangro terzo principe di Sansevero, il monumento si ispira al modello proposto dall’Iconologia di Cesare Ripa, repertorio emblematico di fine Cinquecento verso il quale, com’è stato ampiamente dimostrato (cfr. Mâle 1927; Panfili 2015; e da ultimo Forgione 2022, pp. 47-49), Raimondo nutrì sempre grande interesse, tanto da finanziarne la cospicua edizione settecentesca, in cinque volumi, curata dall’abate Cesare Orlandi tra il 1764 e il 1767. A tale catalogo Raimondo attinse a piene mani nello stabilire le iconografie delle opere nel suo tempio gentilizio. Nel caso in esame, però, ciò non bastò a soddisfare le aspettative del Principe, che infatti inserì il Decoro tra i lavori ‘sacrificabili’, ovvero sostituibili nel caso si fosse trovato uno scultore più capace di adeguarli al suo proprio gusto artistico (Testamento 1770, cc. 46r-v; cfr. anche Chartulae desangriane 2006, p. 107).
Al pari della descrizione di Ripa (1765, pp. 125-126), il Decoro è un «giovane di bello e onesto aspetto» che indossa la leontè, simbolo della fortezza della virtù. La testa esanime dell’animale è accomodata su una breve colonna scanalata (mancante in Ripa) che funge al contempo da base per il registro con il motto «sic floret decoro decus», volendo così indicare che la bellezza è un riflesso del decoro. Anche i due diversi calzari indossati dal personaggio, l’aristocratico coturno al piede destro e l’umile socco al sinistro, seguono il modello ripesco, significando che «ciascuno circa l’abito deve aver riguardo per l’osservanza del decoro all’età ed al grado che tiene» (ivi, p. 136).
Limitandoci a segnalare la principale divergenza tra la scultura e l’incisione – quindi, come di consueto per la chiesa dei Di Sangro, l’opera non va intesa come una puntuale trasposizione del modello letterario, bensì solo ispirata da quello –, va detto che il ragazzo nell’illustrazione non è seminudo come nella statua, ma abbigliato con un saio a motivi floreali, parte non secondaria dell’iconografia in quanto decorato con foglie di amaranto, «fiore che di ogni tempo fiorisce, e mantiene il suo decoro della bellezza» (ivi, p. 128). Il fuscello della medesima pianta disegnato nella mano sinistra del soggetto potrebbe invece trovare corrispondenza nel «ramo di frutta» che, a detta dell’inventario dei beni rimasti nell’eredità di Raimondo di Sangro, compilato nel 1771, la statua impugnava con la sinistra (Inventario 1771, c. 106v, per cui cfr. pure Attanasio 2011, p. 145; Colapietra 1986, p. 74), ma che oggi è perduto. Nel medesimo documento si legge inoltre che l’iscrizione era «alla diritta di detta statua», cioè, stando alla fondata interpretazione di Oderisio de Sangro (1991, p. 214), nella stessa lastra piana ancora registrata a destra della figura in una litografia di Franz Wenzel (probabilmente del 1839) esaminata dal De Sangro ma attualmente irrintracciabile. La lastra, invece, già in sagrestia (ibidem), è adesso nei depositi della Cappella.
Danneggiata l’epigrafe nel crollo ottocentesco, l’iscrizione sarebbe stata ricopiata nel piedistallo della statua, colmando il vuoto lasciato nel frattempo dal bassorilievo con Susanna e gli anziani segnalato dall’Origlia (1754, p. 365). La Picone (1959, p. 72) ipotizza che il rilievo venisse tolto dallo stesso Raimondo per stemperare le accuse «mosse contro il curioso carattere decorativo della cappella»; mentre per Colapietra (1986, pp. 74-75) il pezzo era in origine collegato alla Pudicizia, la quale, in una ricostruzione poco meno che fantasiosa, avrebbe costituito un gruppo unico con la Mestizia e il Decoro, quest’ultimo definito dallo studioso «non più che una statua di accompagno». Ora, considerando che diverse opere subirono modifiche già prima della presa diretta del Wenzel (si vedano a titolo di esempio le schede 15 e 17 relative alle acquasantiere), è lecito chiedersi se in origine l’iscrizione del Decoro non si trovasse nella tabella vuota situata al di sopra del monumento del terzo principe di Sansevero, secondo una disposizione che avrebbe unito suggestivamente i monumenti dei congiunti anche sul piano materiale.
In conclusione, si noti che nel 1838 Stanislao D’Aloe (p. 24) registrava la statua del Decoro nella sagrestia, «essendo stata tolta dalla cappella perché il muro meridionale minacciava rovina»: dunque i problemi della parete che sarebbe crollata alla fine del secolo (si veda in particolare Colonna di Stigliano 1895), e che nel 1858 Chiarini diceva «chiusa di fabbrica» (p. 444), vanno fatti risalire un bel po’ più indietro nel tempo.
Bibliografia essenziale sull’opera
Origlia Paolino Giangiuseppe, Istoria dello Studio di Napoli…, II, Napoli, Giovanni di Simone, 1754, p. 365.
Testamento di Raimondo di Sangro, Napoli, notaio Francesco de Maggio, 1770, copia del documento disponibile presso l’Archivio Storico del Pio Monte della Misericordia di Napoli, fondo d’Aquino di Caramanico, segnatura provvisoria A.160, c. 46r-v.
Inventario de’ beni rimasti nell’eredità del fu eccellentissimo don Raimondo di Sangro principe di Sansevero, Napoli, notaio Francesco de Maggio, 1771, copia del documento disponibile presso l’Archivio Storico del Pio Monte della Misericordia di Napoli, fondo d’Aquino di Caramanico, segnatura provvisoria A.162, c. 106v.
Sarnelli Pompeo, Nuova guida de’ forestieri…, Napoli, Saverio Rossi, 1772, p. 133.
Sigismondo Giuseppe, Descrizione della città di Napoli e suoi borghi…, II, [Napoli,] presso i fratelli Terres, 1788, pp. 37-38.
D’Aloe Stanislao, Tesoro lapidario napoletano, II, Napoli 1838, p. 24.
Galante Gennaro Aspreno, Guida sacra della città di Napoli, Napoli 1872, p. 161.
Riccoboni Alberto, Sculture inedite di Antonio Corradini, in «Arte Veneta», VI, 1952, pp. 151-156, in particolare pp. 155-156.
Picone Marina, La Cappella Sansevero, Napoli 1959, pp. 68, 71-72.
Colapietra Raffaele, Raimondo di Sangro e il Templum sepulcrale della Cappella Sansevero (I), in «Napoli nobilissima», s. III, XXV, 1986, pp. 62-79, in particolare pp. 74-75.
de Sangro Oderisio, Raimondo de Sangro e la Cappella Sansevero, Roma 1991, pp. 212-214, n. 23.
Cioffi Rosanna, La Cappella Sansevero. Arte barocca e ideologia massonica, prima edizione: Salerno 1987; edizione citata: Salerno 1994, p. 29.
Cogo Bruno, Antonio Corradini scultore veneziano. 1688-1752, Este 1996, pp. 321-323, n. 49.
Chartulae desangriane. Il principe committente, catalogo della mostra a cura di Bruno Crimaldi (Napoli, Museo Cappella Sansevero, 28 marzo 2006), Napoli 2006, p. 107.
Attanasio Sergio, In casa del principe di Sansevero. Architettura, invenzioni, inventari, Napoli 2011, p. 145.
Panfili Veronica, L’iconologia nelle statue della Cappella Sansevero a Napoli, in «BTA – Bollettino Telematico dell’Arte», 2015, n. 789, solo in rete: www.bta.it.
Napoli, la Cappella Sansevero e il Cristo velato. Naples, Sansevero Chapel and the Veiled Christ, testi di Marco Bussagli, fotografie di Carlo Vannini, Bologna 2019, pp. 24, 52-53, 62-65.
Bibliografia di confronto
Iconologia del cavaliere Cesare Ripa perugino, notabilmente accresciuta d’immagini, di annotazioni e di fatti dall’abate Cesare Orlandi, patrizio di Città della Pieve accademico augusto. A Sua Eccellenza don Raimondo di Sangro…, I-V, Perugia, Piergiovanni Costantini, 1764-1767, II, 1765, pp. 125-140.
Colonna di Stigliano Fabio, La cappella Sansevero e D. Raimondo di Sangro, in «Napoli nobilissima», IV, 1895, 3, pp. 33-36.
Celano Carlo, Notizie del bello, dell’antico e del curioso della città di Napoli… Con aggiunzioni de’ più notabili miglioramenti posteriori fino al presente, estratti dalla storia de’ monumenti e dalle memorie di eruditi scrittori napolitani, per cura del cavalier Giovanni Battista Chiarini, III, Napoli 1858, p. 444.
Mâle Émile, La clef des allégories peintes et sculptées au XVII et au XVIIIe siècle. I. En Italie, in «Reveu des Deux Mondes (1829-1971)», XXXIX, 1927, 1, pp. 106-129.
Cogo Bruno, Antonio Corradini scultore veneziano. 1688-1752, Este 1996, pp. 296-301, n. 40.
Panfili Veronica, L’iconologia nelle statue della Cappella Sansevero a Napoli, in «BTA – Bollettino Telematico dell’Arte», 2015, n. 789, solo in rete: www.bta.it.
Forgione Gianluca, I simulacri delle cose. La Cappella Sansevero e il barocco romano, Torino 2022, pp. 47-49.