Autore della scheda: Sabrina Iorio
La storia della nascita della Cappella Sansevero, tramandata nelle fonti senza particolari varianti, narra dell’apparizione di un dipinto con la Madonna della Pietà sulle mura esterne del giardino del palazzo dei Di Sangro in San Domenico Maggiore, disvelato in seguito al crollo di una parete. Giovan Francesco di Sangro, duca di Torremaggiore, era allora il proprietario del palazzo e, dopo essere guarito da un’infermità che lo affliggeva per intercessione di quella icona miracolosa, decise di erigere un piccolo luogo di culto a essa dedicato: nasceva così, intorno al 1590, il primissimo nucleo della chiesa di Santa Maria della Pietà, detta Pietatella, una cappella votiva ben lontana dagli esiti monumentali di quella attuale (d’Engenio Caracciolo 1623, pp. 262-263).
Il mausoleo dedicato a Giovan Francesco di Sangro (1524-1604), insignito del titolo di primo principe di Sansevero nel 1587 (refutato e trasferito al figlio Paolo già l’anno seguente), è ubicato nel secondo arco della navata sinistra della chiesa. Nel 1634 il sepolcro è ricordato alla destra dell’altar maggiore, a fianco alla tomba di Alessandro di Sangro, nella prima visita pastorale che la chiesa ricevé al tempo dell’arcivescovo Francesco Boncompagni. Il documento, ancora inedito e ritrovato da Mariano Saggiomo (2021-2022, pp. 504-505) nell’Archivio Storico Diocesano di Napoli, fa riferimento anche alle dimensioni del monumento, alto dieci palmi, e al fatto ch’esso fosse ornato «cum columnis porfidi nigri coloris», oggi non più visibili ma ancora ricordate nell’Inventario dei beni rimasti nell’eredità del fu eccellentissimo Raimondo di Sangro principe di San Severo steso nel 1771 (cc. 115v-120r, in particolare cc. 117v-119r; cfr. anche Attanasio 2011, pp. 148-150, in particolare p. 149). Secondo l’inventario, colonne simili ornavano pure i monumenti dedicati a Paolo di Sangro secondo e quarto principe di Sansevero (cfr. le schede 19 e 13). È dunque probabile che il crollo della controfacciata della chiesa nel 1889 avesse danneggiato le colonne di uno o di tutt’e due questi depositi, collocati nei primi due archi rispettivamente a destra e a sinistra di chi entra; e che, per ragioni di uniformità, si decise poi di eliminarle anche nel monumento di Giovan Francesco. Le due colonne poterono invece essere conservate nel sepolcro del Patriarca di Alessandria in virtù della sua differente collocazione nel presbiterio (cfr. la scheda 4).
Il deposito è citato per la prima volta nel 1623 dall’Engenio Caracciolo (pp. 262-264), che però si limita a riportarne l’iscrizione senza soffermarsi sugli aspetti artistici. Invero, le fonti periegetiche seicentesche sono piuttosto laconiche nella descrizione dei sepolcri – di cui trascrivono, al limite, le sole epigrafi –, elogiando piuttosto la chiesa nel suo insieme per i «lavori di finissimi marmi» e per le «statue di molti degni personaggi di essa famiglia» (cfr., rispettivamente, de Lellis 1654, p. 150; e Sarnelli 1685, pp. 197-198), ovvero per i «molti nobili e sontuosi sepolcri con bellissime statue così antiche come moderne» (Celano 1692, p. 35). Anche la letteratura del tardo XVIII secolo, pure molto dettagliata riguardo ai monumenti eretti nella Pietatella al tempo di Raimondo di Sangro, affronta in maniera piuttosto sbrigativa il discorso sui depositi antichi, individuandone genericamente gli autori in Giovanni Marigliano da Nola (circa 1488-1588), Girolamo Santacroce (circa 1502-1537), Cosimo Fanzago (1591-1678) e altri (Origlia Paolino 1754, p. 365; Breve nota 1766, p. 6, per cui cfr. pure Attanasio 2011, pp. 57-58; Celano 1792, p. 87). Nel già citato Inventario del 1771 la statua del primo principe di Sansevero viene per la prima volta associata a un nome, quello di Giovanni da Nola (c. 117v; cfr. Attanasio 2011, p. 149); un secolo dopo Gennaro Aspreno Galante (1872, p. 160) l’avrebbe invece riferita a Fanzago, ritenuto autore dei «sepolcri di Francesco e [dei] tre Paoli di Sangro, collocati sotto le quattro arcate dal lato della porta».
Un ricchissimo paramento in commesso marmoreo incornicia la statua in armatura del Principe a grandezza naturale e in posizione stante, con una lancia nella mano destra e una spada nella sinistra. La scultura è inserita in un’edicola timpanata dal gusto spiccatamente tardo-manieristico nel suo modulo allungato e negli espedienti utilizzati per spezzare la rigidità dello schema architettonico, quali le paraste giustapposte a due a due e la sospensione dei capitelli a tre quarti di altezza lungo le lesene. Nella parte inferiore l’ampia zoccolatura, che accoglie la lunga epigrafe celebrativa dedicata a Giovan Francesco dal figlio Alessandro, patriarca di Alessandria e arcivescovo di Benevento, è sovrastata da una spigolosa urna in commesso con piede leonino.
Nel suo pioneristico studio sulla Cappella dei Sansevero, Marina Picone (1959, pp. 77-78) osserva come la statua di Giovan Francesco di Sangro, nonostante appaia legata a una «sensibilità ancora di stampo manieristico» nell’allineamento al «filone di cultura Naccherino-D’Auria», manifesti in realtà modi più moderni, avvicinabili alla figura che decora il sepolcro di Paolo di Sangro, quarto principe di Sansevero, datata al 1642 e collocata nel primo arco a sinistra entrando in chiesa (cfr. la scheda 13), con la quale «è comune il movente di cultura, come se si trattasse di due diverse idee compositive maturate nello stesso giro di ambiente». Tali motivazioni inducevano la studiosa a collocare la statua di Giovan Francesco tra gli anni quaranta e cinquanta del Seicento (ibidem).
Grazie alle lunghe ricerche di Eduardo Nappi tra le carte dell’Archivio Storico del Banco di Napoli è stato possibile anticipare su base documentaria la cronologia dell’opera, per la quale Alessandro di Sangro ricompensò Giacomo Lazzari tra il 1614 e il 1615 (cfr. ora Nappi 2010, pp. 94-95, 113, docc. 38-40). Distinguendo tra l’autore dell’apparato decorativo del sepolcro, documentato appunto a Lazzari, e l’artefice dell’effigie marmorea, Oderisio de Sangro (1991, pp. 191-196, n. 17) ipotizza per quest’ultima il nome di Michelangelo Naccherino (1550-1622), già impegnato a partire dal 1609 nell’esecuzione del sepolcro dedicato a Paolo di Sangro, secondo principe di Sansevero, e a suo figlio Ferdinando (cfr. la scheda 19). Più di recente, la statua di Giovan Francesco è stata ricondotta all’orbita naccheriniana anche da Mario Panarello (2010, pp. 30-32), il quale, per affinità stilistiche, l’avvicina in particolare alla produzione di Tommaso Montani, scultore formatosi per l’appunto nella bottega di Naccherino.
A parere di chi scrive, l’indicazione di Giacomo Lazzari come responsabile del progetto e della decorazione marmorea del sepolcro è determinante per meglio orientarsi nell’individuazione dell’artefice della statua. Guardando infatti all’entourage che si instaurò a Napoli tra il primo e il secondo decennio del Seicento intorno al marmoraio fiorentino, che era solito subappaltare a noti scultori le statue a corredo dei numerosi monumenti che era chiamato a eseguire (Iorio 2015), è possibile riferire la statua del primo principe di Sansevero allo scultore Francesco Cassano, tra i più fedeli interpreti della cultura plastica napoletana nel secondo Cinquecento. Il classicismo formale che è alla base della calibrata e rigorosa gestualità della scultura, l’espressività quasi silente del suo volto, la morbida definizione dei volumi accentuata dal trattamento delle superfici lisce e polite possono essere infatti ricondotti alla maniera di Cassano, che nei medesimi anni affiancava Lazzari nelle imprese a servizio di monsignor Antonio Giustiniani nella Cattedrale di Bovino (1606-1609) e nella chiesa dei Girolamini a Napoli (1613-1615; vedi ivi, pp. 88-89). Nei tratti del volto le palpebre spesse e le iridi nettamente disegnate di Giovan Francesco trovano un immediato confronto con il busto del Cristo Redentore presente nella Cappella di San Filippo Neri ai Girolamini (circa 1615), attribuito a Cassano dalla scrivente (ivi, p. 88); le arcate sopraccigliari arrotondate e le folte sopracciglia guardano invece alla statua funebre di Francesco Albertini (1590) nella chiesa di San Biagio a Nola (Grandolfo 2014, p. 8); e finanche nei dettagli del costume si ritrovano elementi soliti del repertorio di Francesco, come le calzamaglie raggrinzite all’altezza del ginocchio, il cui naturalismo anticipa gli esiti più raffinati della cultura barocca, già fatti proprî dallo scultore nel Pompeo dell’Uva (1597) proveniente dalla chiesa capuana di Santa Caterina e oggi al Museo Campano (Giorgi 2015, pp. 54-56). Anche le statue dell’Immacolata Concezione sull’altare della Cappella Barone nella Cattedrale di Nola (1590-1591) e della Personificazione dei due Diritti (1614) attualmente nel chiostro grande di Santa Maria la Nova a Napoli, entrambe siglate dal Cassano (ivi, passim), parlano lo stesso linguaggio alla base del Giovan Francesco di Sangro: ciò emerge tanto nei caratteri formali, per la definizione fisionomica e l’ariosa e potente concezione spaziale delle figure stanti; quanto nel trattamento della materia, com’è evidente nella foggia dei capelli ad ampie ciocche ripresa nel piumaggio dell’elmo ai piedi del Principe guerriero.
Bibliografia essenziale sull’opera
d’Engenio Caracciolo Cesare, Napoli sacra…, Napoli, Ottavio Beltrano, 1623, pp. 262- 264.
de Lellis Carlo, Parte seconda, overo supplimento a “Napoli sacra” di don Cesare d’Engenio Caracciolo, Napoli, per Roberto Mollo, 1654, edizione citata: a cura di Luciana Mocciola ed Elisabetta Scirocco, Napoli-Firenze 2007, p. 150, solo in rete: www.memofonte.it.
Sarnelli Pompeo, Guida de’ forestieri…, Napoli, Giuseppe Roselli, a spese di Antonio Bulifon, 1685, pp. 197-198.
Celano Carlo, Notizie del bello, dell’antico e del curioso della città di Napoli…, III, Napoli, nella stamperia di Giacomo Raillard, 1692, edizione citata: a cura di Paola Coniglio e Riccardo Prencipe, revisione finale a cura di Paola Coniglio, Napoli-Firenze 2009, p. 107, solo in rete: www.memofonte.it.
Origlia Paolino Giangiuseppe, Istoria dello Studio di Napoli…, II, Napoli, Giovanni di Simone, 1754, pp. 364-365.
Breve nota di quel che si vede in casa del principe di Sansevero don Raimondo di Sangro nella città di Napoli, [Napoli] 1766, p. 6.
Inventario de’ beni rimasti nell’eredità del fu eccellentissimo don Raimondo di Sangro principe di Sansevero, Napoli, notaio Francesco de Maggio, 1771, copia del documento disponibile presso l’Archivio Storico del Pio Monte della Misericordia di Napoli, fondo d’Aquino di Caramanico, segnatura provvisoria A.162, cc. 115v-120r.
Celano Carlo, Delle notizie del bello, dell’antico e del curioso della città di Napoli per gli signori forastieri… Quarta edizione, in cui si è aggiunto tutto ciò che si è di nuovo fatto in Napoli ne’ nostri tempi…, Giornata Terza, Napoli, Salvatore Palermo, 1792, p. 87.
Galante Gennaro Aspreno, Guida sacra della città di Napoli, Napoli 1872, p. 160.
Picone Marina, La Cappella Sansevero, Napoli 1959, pp. 77-78.
de Sangro Oderisio, Raimondo de Sangro e la Cappella Sansevero, Roma 1991, pp. 191-196, n. 17.
Nappi Eduardo, Dai numeri la verità. Nuovi documenti sulla famiglia, i palazzi e la Cappella dei Sansevero, Napoli 2010, pp. 94-95, 113, docc. 38-40.
Attanasio Sergio, In casa del Principe di Sansevero. Architettura, invenzioni, inventari, Napoli 2011, pp. 57-58, 148-150.
Bibliografia di confronto
Panarello Mario, Artisti della tarda maniera nel Viceregno di Napoli. Mastri scultori, marmorari e architetti, Soveria Mannelli 2010, pp. 30-32.
Grandolfo Alessandro, Patronati gentilizi e memorie funebri in Santa Maria Donnaregina Vecchia a Napoli nei secoli XIV-XVII: il ciclo scultoreo dei Loffredo di Monteforte, in «Napoli nobilissima», s. VI, V, 2014, 1-2, pp. 3-30, in particolare p. 8.
Giorgi Lucia, Francesco Cassano, scultore per la famiglia dell’Uva a Capua. L’altare-sepolcro di Pompeo e la decorazione delle cappelle gentilizie, in Ricerche sull’arte a Napoli in età moderna. Saggi e documenti 2012-2013, Napoli 2015, pp. 44-59.
Iorio Sabrina, Sull’arte marmorea di primo Seicento a Napoli: Iacopo Lazzari, Tommaso Montani, Francesco Cassano, Giovan Marco Vitale e Giovan Domenico Monterosso, in Ricerche sull’arte a Napoli in età moderna. Saggi e documenti 2015, Napoli 2015, pp. 82-105.
Saggiomo Mariano, Le chiese gentilizie napoletane di Età Moderna: per la ricostruzione storica di un fenomeno dimenticato, tesi di dottorato in Scienze storiche, archeologiche e storico-artistiche, Università degli Studi di Napoli Federico II, XXXIV ciclo, tutors proff. Francesco Caglioti e Bianca de Divitiis, a.a. 2021-2022, pp. 501-552, in particolare pp. 504-505.