Autore della scheda: Mariano Saggiomo
L’8 agosto del 1766 Raimondo di Sangro prese accordi con lo scultore romano Fortunato Onelli affinché questi realizzasse entro il termine di otto mesi «l’intiero deposito del Zelo della Religione, consistente nella statua di palmi sette rappresentante il sudetto Zelo; in un puttino isolato in atto di ammazzare alcuni serpi ch’escono da’ libri; in due altri puttini che sostengono una medaglia a due teste; e, finalmente, in un bassorilievo situato nella riquadratura dell’urna, ed urna di quadro con due zampe di marmo» (la citazione proviene dal contratto notarile, trascritto da Forgione 2022, p. 66, doc. 6; per la rispettiva polizza di banco si veda Nappi 2010, pp. 142-143, doc. 459). La direzione del lavoro sarebbe spettata a Francesco Celebrano, che avrebbe sovrinteso anche alla realizzazione del modello, fatto però da Onelli (cfr. il contratto notarile e la polizza appena citati). Le cose furono tuttavia più complicate e lunghe del previsto, anche se il ruolo di Celebrano e alcune clausole inserite nel contratto (al netto delle formule di rito) lasciano presupporre che esistesse un pregiudizio iniziale sulla buona riuscita della commissione, dubbio che evidentemente risultò fondato. Difatti, passati gli otto mesi, lo scultore percepì solo 256 dei 280 ducati pattuiti come compenso, in quanto Raimondo ne trattenne 24, poiché era stato necessario «chiamarsi altri professori esperti per supplire i difetti» di quanto realizzato e per acquistare un altro pezzo di marmo per ultimare le parti incomplete» (ivi, p. 144, doc. 462). Si trattava in realtà di una cifra irrisoria, ma così si stabilì per «atto di orbanità e gentilezza del medesimo Principe», mosso dalla consapevolezza che «detto Onelli si tiene carico di grossa famiglia» (ibidem).
Ignare di tutta questa vicenda, le guide storiche della città hanno assegnato concordemente il monumento ad Antonio Corradini (si vedano almeno Sigismondo 1788, p. 37; D’Aloe 1838, pp. 18-19; e Galante 1872, pp. 160-161). Ripresa dal Riccoboni (1952, p. 154), l’attribuzione è stata invece rifiutata dalla Picone (1959, p. 80), la quale, scartando al contempo la paternità di Francesco Celebrano (esecutore sicuro del Dominio di sé stessi, cfr. la scheda 22), ha quindi proposto di riconoscervi quello che a suo giudizio è «il nome di più alto livello della Cappella Sansevero»: Francesco Queirolo (1704-1762). Ad ogni modo, considerate le testimonianze d’archivio su riportate, non vi sono evidenze che permettano di assegnare al Queirolo nemmeno il bozzetto dell’opera, come vorrebbe Colapietra (1986, p. 143), sostenendo l’ipotesi col fatto che l’artista genovese eseguì per certo un modello del Dominio. Ciò non toglie che la questione dei modelli sia uno dei nodi più difficili da sciogliere sulla Cappella, poiché resta arduo stabilire se, in quale opera e in che misura ciascun sovrintendente al cantiere abbia rielaborato i bozzetti precedenti (si vedano in proposito Picone 1959, p. 37; Cioffi 1994, pp. 11-12; e Cogo 1996, pp. 325-330, n. 51). Non a caso, per l’opera ora schedata Cioffi (1994, pp. 21-22) ha sottolineato in maniera pertinente come l’anziano raffigurante lo Zelo mostri affinità con il Tempo attribuito al veneziano Giovanni Bonazza e facente parte della tomba Valier in San Giovanni e Paolo a Venezia, monumento che Corradini, in quanto suo conterraneo, doveva ben conoscere, e che dunque potrebbe aver tenuto a mente compiendo un bozzetto per lo Zelo.
Destinata a celebrare Ippolita del Carretto e Adriana Carafa della Spina, prima e seconda moglie di Giovan Francesco di Sangro primo principe di Sansevero, l’allegoria inscena la vittoria delle verità di fede sulle ombre dell’eresia, simboleggiate dalle serpi che fuoriescono dai volumi in basso, prontamente schiacciate e respinte dall’uomo anziano sulla destra e dal fanciullo alato sul versante opposto. Non è arduo rintracciare la fonte iconografica della scultura nell’Iconologia di Cesare Ripa, testo di fine Cinquecento che ebbe la sua riedizione più ambiziosa in quella settecentesca curata da Cesare Orlandi e finanziata proprio da Raimondo di Sangro. A essa, infatti, il Principe s’ispirò spesso per le allegorie della propria Cappella. Nelle parole di Ripa (1767, p. 417) la «sferza» e la «lucerna accesa» servono allo Zelo, che «è un certo amore della religione», appunto ad «insegnare agl’ignoranti [e a] correggere e castigare gli errori». L’ovale contiene i ritratti delle donne cui è dedicata l’opera, mentre in alto si trova lo stemma dei Carafa della Spina. L’inscrizione che corre oggi lungo il basamento è nettamente diversa da quella riportata nell’inventario del 1771 (cc. 121r-v; cfr. Attanasio 2011, p. 150) sia per composizione sia per impaginazione, per cui dev’essere stata completamente rifatta in una circostanza che non è possibile precisare.
Bibliografia essenziale sull’opera
Inventario de’ beni rimasti nell’eredità del fu eccellentissimo don Raimondo di Sangro principe di Sansevero, Napoli, notaio Francesco de Maggio, 1771, copia del documento disponibile presso l’Archivio Storico del Pio Monte della Misericordia di Napoli, fondo d’Aquino di Caramanico, segnatura provvisoria A.162, cc. 120r-121v.
Sigismondo Giuseppe, Descrizione della città di Napoli e suoi borghi…, II, [Napoli,] presso i fratelli Terres, 1788, p. 37.
D’Aloe Stanislao, Tesoro lapidario napoletano, II, Napoli 1838, pp. 18-19.
Galante Gennaro Aspreno, Guida sacra della città di Napoli, Napoli 1872, pp. 160-161.
Riccoboni Alberto, Sculture inedite di Antonio Corradini, in «Arte Veneta», VI, 1952, pp. 151-161, in particolare p. 154.
Picone Marina, La Cappella Sansevero, Napoli 1959, p. 80.
Colapietra Raffaele, Raimondo di Sangro e il Templum sepulcrale della Cappella Sansevero (II), in «Napoli nobilissima», s. III, XXV, 1986, pp. 142-154, in particolare p. 143.
de Sangro Oderisio, Raimondo de Sangro e la Cappella Sansevero, Roma 1991, pp. 186-188, n. 15.
Cioffi Rosanna, La Cappella Sansevero. Arte barocca e ideologia massonica, prima edizione: Salerno 1987; edizione citata: Salerno 1994, pp. 21-22.
Nappi Eduardo, Dai numeri la verità. Nuovi documenti sulla famiglia, i palazzi e la Cappella dei Sansevero, Napoli 2010, pp. 142-143, doc. 459, e pp. 143-145, doc. 462.
Attanasio Sergio, In casa del principe di Sansevero. Architettura, invenzioni, inventari, Napoli 2011, p. 150.
Napoli, la Cappella Sansevero e il Cristo velato. Naples, Sansevero Chapel and the Veiled Christ, testi di Marco Bussagli, fotografie di Carlo Vannini, Bologna 2019, pp. 50, 58-59, 82-85.
Forgione Gianluca, I simulacri delle cose. La Cappella Sansevero e il barocco romano, Torino 2022, p. 66, doc. 6.
Bibliografia di confronto
Iconologia del cavalier Cesare Ripa perugino, notabilmente accresciuta d’immagini, di annotazioni e di fatti dall’abate Cesare Orlandi, patrizio di Città della Pieve accademico augusto. A Sua Eccellenza don Raimondo di Sangro…, I-V, Perugia, Piergiovanni Costantini, 1764-1767, V, 1767, pp. 417-419.
Picone Marina, La Cappella Sansevero, Napoli 1959, p. 37.
Cioffi Rosanna, La Cappella Sansevero. Arte barocca e ideologia massonica, prima edizione: Salerno 1987; edizione citata: Salerno 1994, pp. 11-12.
Cogo Bruno, Antonio Corradini scultore veneziano. 1688-1752, Este 1996, pp. 325-330, n. 51.